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 2017  ottobre 13 Venerdì calendario

I bambini prodigio dell’officina Mancini. «Rossi mi chiamò Mago»

MOTEGI «Valentino, Dovizioso. Morbidelli, Fenati. Li ho cresciuti tutti io. Anche Capirossi. Non ho più l’età per seguirli: figuriamoci in Giappone. I miei ragazzi. Ma non mi vengono mai a trovare, così questa domenica metto la sveglia alle 7: e per vederli ancora una volta, accendo la televisione». Chi lo conosce bene, giura che dopo l’arrivo Guido Mancini detto il Mago come tutte le mattine scenderà giù in garage, a mettere le mani in uno dei suoi motori. A “carezzarli”, come dice lui. «Perché sono uguali alle persone, i motori: lo sentono, se li tratti con affetto. E te lo restituiscono». Guido ha cominciato da bambino, adesso ha 79 anni e quell’officina sotto casa – un po’ fuori Pesaro, la campagna intorno – pare un tempio: motociclette che sono pagine della storia di questo sport. Poi bielle e pistoni, trofei e targhe commemorative. Bulloni, torni, frese, chiavi inglesi. Un profumo di olio bruciato, ma forse è solo un’illusione. E altre pagine, queste vere: vecchi e nuovi articoli di giornale alle pareti. «I miei ragazzi», ripete. Quelle foto con un Rossi quindicenne: «Il soprannome “Mago” me l’ha dato Valentino, era il ‘94: guidava una Sandroni. Lo vedevi subito che era un tipo speciale». Capirossi nel suo garage c’era arrivato prima: «Aveva 14 anni, una voglia pazzesca dentro». La dedica del Doc, di Loris, un’altra di Marco Simoncelli: «A Guido, il migliore. Con tanta stima». DesmoDovi gli scrive: «Grazie, per avermi fatto vincere l’Europeo». Ci è riuscito anche con Pirro, nel 2004. Ancora: «Mi hai aiutato a correre», firmato Fenati. «Romano è sempre stato un testone, ma di talento. Il migliore? Franco Morbidelli: a 11 anni l’ho visto girare più veloce dei professionisti».
Il Mago Mancini, una vita a svezzare talenti: «All’inizio correvo anch’io, poi mi sono messo a far andare forte le moto. E ad insegnare ai giovani come si doveva tirarne fuori il meglio». Come? «Migliorando di un metro alla volta, un giro dopo l’altro. Con costanza e cervello. Imparando che i motori vanno ascoltati con devozione. Glieli smontavo sotto gli occhi, li obbligavo ad imparare a memoria la carburazione. Poi gli aggiustavo la moto addosso come un vestito». Racconta che all’inizio andava a Vallelunga a scovare i potenziali campioni: «Li sceglievo piccoli e magri». Poi sono venuti loro, a cercare il Mago. «Quante storie, avventure. Sogni, vittorie, fallimenti». Non tutti sono diventati campioni: «Molti sono stati sfortunati. O non hanno avuto le stesse possibilità». Come Manolo ‘Che’ Omarini, dice. Sul muro c’è pure una foto di Marquez, ma non l’ha mai incontrato: «Sono sportivo. E lui secondo me è il più forte, ma se torna Stoner li fa fuori tutti». Quest’anno Marc batterà Dovizioso? «Speriamo di no. Dovi di tutti i miei allievi era il più caparbio: una straordinaria voglia di imparare». In un cassetto, il Mago conserva i taccuini con 30 anni di tempi cronometrati, rapporti, diagrammi. «Altro che le centraline elettriche di oggi. Però Dovizioso sa perfettamente come regolare un motore. Sperò gli servirà, in questo finale».
A Motegi, Andrea fa di sì con la testa: «Che bella persona. Un maestro. Abbiamo passato 7 anni indimenticabili». Capirossi, che adesso lavora per la Dorna: «Mi ha insegnato la passione, l’amore reciproco tra moto e pilota». E Valentino: «Quando l’ho incontrato, era una figura mitica. Ho imparato ad usare il motore a due tempi». Guido e i suoi ragazzi si erano trovati insieme in un bellissimo docufilm di Jeffrey Zani: il ‘Mago Mancini’, naturalmente. «Ma qui in garage, non li ho visti più. E allora domenica accendo la tv».