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 2017  ottobre 13 Venerdì calendario

Usa via dall’Unesco. «È contro Israele». Netanyahu li segue `

NEW YORK Gli Usa usciranno dall’Unesco alla fine del 2018, imitati dal leader di Israele Benjamin Netanyahu. L’ennesima presa di distanza dell’amministrazione Trump dalla comunità internazionale è basata ancora una volta sulla protesta per i mancati pagamenti di molti paesi membri che pesano sul bilancio dell’organizzazione a difesa del patrimonio culturale globale. Gli stessi Stati Uniti hanno smesso di pagare le quote sei anni fa, dopo l’ammissione nei ranghi dell’Unesco dell’Authority palestinese. La goccia che ha fatto traboccare il vaso secondo l’ambasciatrice all’Onu Nikki Haley è stato poi l’inserimento della città di Hebron e quindi della Tomba dei Patriarchi sacra agli ebrei, nel registro dei Patrimoni dell’Umanità, come «appartenente al territorio palestinese, cioè all’Islam». Secca la replica dell’Unesco che ha definito una «grave perdita per le Nazioni Unite l’uscita degli Usa e di Israele». Nel mirino di Trump ci sono quindi le reiterate mozioni dell’Unesco contro Gerusalemme sui luoghi sacri agli ebrei.
Oggi l’amministrazione di Washington potrebbe lanciare un’altra sfida alla cooperazione globale, se il presidente Trump si rifiuterà come ha promesso di certificare al congresso statunitense che il governo iraniano lo sta rispettando. La certificazione è un atto trimestrale che il legislativo di Washington ha voluto aggiungere dopo la stipula del patto a Vienna due anni fa, per assicurare un’ulteriore passo di verifica, oltre quello stabilito dai sette paesi firmatari. Fino a ieri il giudizio spettava al Dipartimento di Stato, e l’attuale segretario Rex Tillerson aveva detto più volte che a suo parere i termini erano rispettati dall’Iran, così come assicurano gli ispettori nucleari. Trump ha insultato un’ennesima volta Tillerson togliendo la competenza dalla sue mani per trasferirla alla Casa Bianca. Qui negli ultimi giorni il consigliere capo per la Sicurezza Nazionale, il generale H.R. McMaster, ha tentato a più riprese di convincere il presidente ad ascoltare i pareri del ministro per la Difesa Mattis, e del capo di gabinetto Kelly, concordi nel considerare sufficiente l’osservanza dell’accordo. McMaster ha ottenuto solo che il mancato avvallo non sia basato sua una presunta violazione iraniana. Il rifiuto di Trump fa riferimento invece un altro punto della certificazione, che riguarda l’efficacia dell’accordo nell’assicurare la protezione degli interessi della sicurezza nazionale. Un giudizio politico di revisione, che imbarazza gli altri paesi contraenti e surriscalda i rapporti con Tehran. L’atto è comunque sufficiente a mettere in forse la tenuta dell’accordo. Spetterà comunque al congresso decidere entro i prossimi 60 giorni se ristabilire il regime di sanzioni economiche che era in vigore prima dell’estate del 2015.