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 2017  ottobre 13 Venerdì calendario

Il caso Weinstein scuote i democratici

WASHINGTON Per almeno vent’anni affinità condivisione, confidenza. E soldi. Ora «imbarazzo», «disgusto», «orrore». La parabola di Harvey Weinstein, 65 anni, brillante tycoon di Hollywood si intreccia con quella del partito democratico. Dal 1994 ha finanziato esattamente 36 politici e vari comitati. Nomi e cifre sono registrati nell’albo della Commissione Federale per le elezioni. Weinstein ha messo a disposizione circa 2 milioni e 317 mila dollari, tra donazioni dirette (894 mila dollari) e raccolta fondi (1,4 milioni). Nella lista ci sono praticamente tutti, moderati e radicali, figure istituzionali e outsider: Barack Obama, l’ex segretario di Stato John Kerry, i senatori Al Franken e Patrick Leahy, la senatrice Elizabeth Warren, il leader della minoranza a Capitol Hill Chuck Schumer. Ma, soprattutto, loro: i Clinton. Il cineasta li conosce e li frequenta fin da quando Bill era alla Casa Bianca. Dal 2000 in poi è diventato un punto di riferimento anche per Hillary.
Un dato di fatto è acquisito: Weinstein fa parte, o meglio faceva parte, dell’establishment politico-culturale dei liberal americani. Nel giro di qualche giorno, travolto dall’accusa di essere un molestatore, se non uno stupratore seriale, è stato rapidamente trasformato in un intruso, un imbucato nell’élite progressista. I parlamentari, indignati, fanno a gara a gettargli in faccia, anzi a destinare in beneficenza, i contributi ricevuti direttamente o attraverso i comitati elettorali. «Siamo disgustati», hanno scritto l’ex presidente e la moglie Michelle. «Sono inorridita», ha dichiarato Hillary, annunciando poi in un’intervista alla Cnn che anche lei girerà a una charity i finanziamenti di Weinstein. Quali, però? I 26 mila dollari versati nel 2006 o le centinaia di migliaia ricevuti in almeno un decennio? Non si sa.
La destra politica e culturale del Paese sta concentrando gli attacchi soprattutto su Hillary Clinton. Kellyanne Conway, consigliera di Donald Trump, l’accusa di essere «un’ipocrita», perché non ha riservato al marito Bill le stesse parole ora rivolte all’ex amico di Los Angeles. Fox, la tv iper conservatrice dell’imprenditore Rupert Murdoch, è scatenata e continua a scavare nel legame tra «Harvey, Bill e Hillary».
Ma il dubbio più velenoso emerge negli articoli del New York Times o nelle considerazioni dei conduttori della Cnn. Adesso si accumulano le testimonianze delle attrici molestate, su cui stanno indagando le polizie di Londra e di New York. Viene fuori che voci e sospetti sulla condotta del produttore fossero moneta corrente e non solo a Hollywood. Possibile che Hillary non si sia mai accorta di nulla? Oppure si è voltata dall’altra parte? Il problema è che Clinton si propone come la massima autorità del Paese in tema di diritti delle donne. Ecco che cos’è diventato il «caso Weinstein».
Il produttore, nato nel Queens come Trump, ha lasciato una traccia importante. Ha vinto un Oscar con Shakespeare in Love, ma ha anche promosso alcuni film-documentari dell’anticonformista Michael Moore ( Fahrenheit 9/11 e Sicko ). Lasciata la Miramax ha fondato nel 2005 la società che porta il suo nome, insieme con il fratello Bob e con due dei registi più innovativi, Quentin Tarantino e Robert Rodriguez. Domenica 8 ottobre lo hanno cacciato.