12 ottobre 2017
APPUNTI PER GAZZETTA - ALLA CAMERA PASSA LA LEGGE ELETTORALEBeppe Grillo è arrivato all’hotel Forum della capitale per partecipare alla manifestazione organizzata dal Movimento 5 stelle contro la scelta del governo di porre la fiducia sulla legge elettorale
APPUNTI PER GAZZETTA - ALLA CAMERA PASSA LA LEGGE ELETTORALE
Beppe Grillo è arrivato all’hotel Forum della capitale per partecipare alla manifestazione organizzata dal Movimento 5 stelle contro la scelta del governo di porre la fiducia sulla legge elettorale. Prima di entrare in albergo è sceso dall’auto portando con sé un piede finto
REPUBBLICA.IT
SILVIO BUZZANCA
ROMA – Fra scontri in Aula e manifestazioni variegate di protesta davanti ai palazzi del potere si arriva finalmente ad un voto finale sulla legge elettorale. Un atto che arriva dopo l’approvazione di un altro sistema di voto, l’Italicum, strettamente legato alla riforma costituzionale travolta dagli elettorali il 4 dicembre, mai utilizzato, e alla fine bocciato dalla Corte costituzionale. Un tentativo che arriva in fondo dopo altri progetti falliti, ritorno al Mattarellum, sistema tedesco in varie versioni, un’altra versione del Rosatellum affondato in Aula lo scorso giugno.
Ma oggi a Montecitorio, dopo tre fiducie votate con ampia maggioranza, l’ultima è arrivata stamattina con 309 sì 87 no ìe 6 astenuti, si gioca con il pallottoliere, si fanno calcoli sui franchi tiratori, si scrutano volti e mosse dei deputati per capire cosa faranno quando saranno chiamati a votare con voto segreto il via libera alla legge elettorale. Voto segreto è stato richiesto dai deputati del gruppo Mdp. Che sono più di 30, per l’esattezza sono 43, quindi la richiesta sarà automaticamente accettata dalla presidenza. Dato il via libera al quinto e ultimo articolo della proposta di legge di riforma elettorale (voti favorevoli 372, contrari 149, astenuti 6) e concluso l’esame degli ordini del giorno, intorno alle 19 sono cominciate le dichiarazioni di voto. Salvo imprevisti, in serata la votazione conclusiva a scrutinio segreto.
Passa la norma salva-Verdini. Via libera, dopo un dibattuto confronto in aula, alla contestata norma - ribattezzata salva-Verdini - che consente agli italiani residenti in Italia di potersi candidare in una ripartizione delle circoscrizioni estere. Norma di cui potrebbe usufruire, appunto, il leader di Ala. Favorevoli all’emendamento sono stati 337 deputati, contrari 154, astenuti 22. Duro l’attacco di Danilo Toninelli, M5s: "E’ una norma ’salva-Verdini". La replica del Pd: "Da parte della dottrina sono stati addirittura avanzati dubbi sulla costituzionalità della sola candidabilità nella circoscrizione Estero per i residenti all’Estero. Con la nuova norma, il diritto riconosciuto ai cittadini residenti in Italia di candidarsi all’Estero viene comunque rigorosamente disciplinato e limitato. E’ una norma di pura reciprocità", ha spiegato il relatore Emanuele Fiano.
Il fronte del sì. Sulla carta il vasto schieramento che sostiene alla luce del sole il Rosatellum non dovrebbe avere problemi: messi tutti insieme dovrebbero raggiungere quota 441 voti, oltre il 70 per cento dei componenti della Camera. Una cifra che si ricava sommando i 283 deputati del Pd, i 50 di Forza Italia, i 23 di Area popolare, i 19 della Lega, i 14 di Civici e Innovatori, i 6 delle Minoranze linguistiche, i 17 di Scelta Civica-Ala, i 12 di Centro democratico, gli 11 di Direzione Italia, i 6 dell’Udc e i 4 del Psi. Da questo calcolo bisogna togliere i 3 del Pd che hanno già detto che voteranno no: Rosy Bindi, il prodiano Franco Monaco e il lettiano Marco Meloni.
I contrari. Il fronte del no, sempre sulla carta non ha chances: sommando i 43 voti di Mdp, gli 11 di Fratelli d’Italia, gli 88 del Movimenti Cinque Stelle, i 17 di Sinistra italiana e i 5 di Alternativa libera si arriva ad un magro 164 voti. A cui si potrebbero aggiungere i voti di alcuni deputati del corpaccione del Gruppo Misto che non hanno dichiarato le loro intenzioni. Tutti questi numeri portano alla conclusione che per bocciare la legge, nel segreto dell’urna dovrebbero manifestarsi 120, forse 127 franchi tiratori. Nella previsione che tutti i sostenitori del no si presentino in Aula e votino. Una cifra altissima, anche tenendo conto dei famosi 101 deputati che bocciarono la candidatura di Romano Prodi alla presidenza della Repubblica.
Il timore dei franchi tiratori. Nonostante questi calcoli rassicuranti, circola a Montecitorio e dintorni incertezza e anche un certo timore. Nel Pd, per esempio, danno per scontato che si manifesteranno una trentina di franchi tiratori. Ma nessuno sa bene cosa decideranno i peones, tutta quella massa di deputati che compulsano tabelle e grafici per capire quale potrebbe essere il loro collegio uninominale o l’ampiezza del collegio plurinominale. Sono soprattutto deputati del Nord, dove la probabile alleanza Lega-Forza Italia potrebbe spazzarli via dal panorama politico. Ma lo stesso timore potrebbe spingere i deputati meridionali del centrodestra . Anche loro potrebbero essere penalizzati dal nuovo meccanismo di voto. E sullo sfondo si profila lo scoglio del Senato, dove i numeri, nonostante l’apporto del centrodestra, sono veramente a rischio quando si vota a scrutinio segreto. Per evitare soprese, lo stato maggiore del Pd è mobilitato. A sorvegliare perché tutto si svolga secondo i piani ci sono, tra gli altri, il coordinatore della segreteria Lorenzo Guerini e il capogruppo Ettore Rosato, ma anche un ’big’ come il ministro Dario Franceschini, che da stamani "presidia" il transatlantico, discute con i deputati, parla al telefono.
SALVAVERDINI
Finalmente è tutto chiaro e tutto grazie a un emendamento di poche righe – è firmato dagli alfaniani Maurizio Lupi, Dore Misuraca e Giorgio Lainati – approvato venerdì in commissione Affari costituzionali alla Camera: ora anche Denis Verdini ha il suo pezzo di legge elettorale e potrà essere rieletto, addirittura all’estero. Se non è il trionfo dell’etica pubblica, di sicuro lo è della razionalità: questo Rosatellum bis è stato infatti costruito scientificamente per accontentare ogni singolo contraente del patto (Renzi, Berlusconi, Salvini, Alfano e frattaglie varie). Mancava solo Verdini e ora finalmente ogni pezzo del puzzle è al suo posto: certo, la razionalità è una cosa, la costituzionalità un’altra.
Per capire, serve partire dall’inizio. Cosa dice l’emendamento Lupi? Questo: “Gli elettori residenti in Italia possono essere candidati in una sola ripartizione della circoscrizione Estero; gli elettori residenti all’estero possono essere candidati solo nella ripartizione di residenza della circoscrizione Estero”. Che significa? Che contrariamente a quanto accaduto finora, ci si potrà candidare a uno dei 18 seggi eletti dagli italiani all’estero (12 alla Camera, 6 in Senato) pur abitando in Italia: si tradisce, in sostanza, la ratio della modifica costituzionale del 2001 che introdusse il voto dei circa 4 milioni di cittadini residenti fuori dai confini.
Non è solo il parere del Fatto Quotidiano, ma anche del senatore del Pd Claudio Micheloni, eletto nella circoscrizione Europa (vive in Svizzera): “Candidare i residenti in Italia significa contraddire radicalmente la logica, le finalità e il significato della legge sul voto degli italiani all’estero. Nei dieci anni abbondanti che sono trascorsi dalla prima applicazione della legge, in effetti, abbiamo assistito a diversi tentativi di aggirare questa regola fondamentale: tentativi terminati con inchieste penali, quando scoperti (vedi il senatore Nicola Di Girolamo, ndr), o avvolti nel silenzio compiacente di quanti si curano esclusivamente dei propri interessi di ceto” (non è chiaro a chi si riferisca Micheloni in quest’ultimo “pizzino”).
La norma, come detto, è pensata per Denis Verdini, candidato difficile da vendere in Italia per chiunque volesse inserirlo nelle sue liste, visti pure certi reiterati guai con la giustizia, che rendono forse più urgente del normale il rientro in Parlamento.
Ebbene Verdini da un paio d’anni ha capito che per tornare a Palazzo avrebbe dovuto fare un giro lungo, addirittura fuori dal confine: è dal 2015, come scrisse anche Il Fatto, che si parla di una sua candidatura in Sudamerica, ostacolata però da quel problemuccio della residenza. Erano i momenti gloriosi in cui il nostro era perno delle riforme, sostegno sicuro di Matteo Renzi che gli aveva promesso una modifica ad hoc per l’Italicum. Allora saltò, ma non è mai troppo tardi per essere il Nazareno dei due mondi.
La base politica dell’operazione, intanto, è pronta da tempo: già il 24 settembre 2015 Verdini crea alla Camera il rassemblement “Ala-Maie”, che dall’ottobre 2016 diventa gruppo parlamentare col nome “Scelta civica – Ala per la costituente liberale e popolare – Maie” (sic). Insomma, un pastrocchione tra ex montiani, verdiniani e questo Maie, che sta per Movimento Associativo Italiani all’Estero, che poi in realtà sono due deputati, cioè Antonio Ricardo Merlo, il leader, e Mario Borghese, entrambi argentini.
Il Maie all’epoca ha fatto una campagna eroica per il Sì al referendum costituzionale di dicembre, aiutato anche dalle missioni istituzionali dell’allora ministro per le Riforme Maria Elena Boschi in Argentina, Brasile, etc (con tanto di ambasciatori a fare il coro). Le associazioni per gli italiani all’estero, e quelle sudamericane in particolare, incassarono pure qualche regaluccio per spingere il voto estero, che doveva garantire la vittoria del Sì (leggendaria l’apertura del 2 dicembre di Repubblica sul boom dell’affluenza).
Come si vede, insomma, il Maie è movimento nazareno per eccellenza e anche capace di spregiudicatezza: alle Europee del 2014, per dire, ha candidato Davide Vannoni, il tizio del metodo Stamina, poi sfortunatamente trombato.
È questa la “casa” elettorale scelta da Verdini già due anni fa: oggi Renzi rispetta il patto di consentirglielo con la benedizione di Berlusconi, tornato in ottimi rapporti col suo ex braccio destro. Le speranze di Denis sono buone. Nelle circoscrizioni Estero vige il proporzionale con tanto di preferenza, ma pare un torneo minore: ne bastano 15-20 mila in tutto un continente per sbaragliare la concorrenza. Bentornato, onorevole Verdini.
d’alemaRosatellum, D’Alema: "Mettono la fiducia sapendo che è una schifezza" "Quando una maggioranza di 476 persone ha paura del voto segreto vuol dire che sono consapevoli che stanno facendo una schifezza", ha detto Massimo D’Alema - a Palermo per sostenere la campagna di Claudio Fava - commentando la fiducia alla legge elettorale. Poi ha ricordato: "Non ho mai detto che la legge elettorale sia il fascismo, ma per la prima volta a mettere la fiducia su una questione del genere fu il fascismo. Consiglio di consultare i libri di storia".
di Giorgio Ruta
Carlo Bertini e Ugo Magri per la Stampa
Il brivido della paura ha iniziato a scorrere dopo il primo voto di fiducia al «Rosatellum», e già al secondo è diventato un tremore. In entrambi casi la maggioranza di governo ha retto (307 e 308 voti), però con una settantina di assenti, tutti onorevoli che ieri avevano altri impegni: giustificati, per carità, ma mettiamoci nei panni dei capigruppo Pd, Forza Italia e Lega alla vigilia della battaglia decisiva di oggi, che si svolgerà a scrutinio segreto con i «franchi tiratori» in agguato.
rosatellum
Sono fiduciosi ma pure parecchio in ansia perché i 130 voti di vantaggio potrebbero svaporare. La storia recente è ricca di queste sorprese. «Ogni voto segreto è un rischio», ammette il presidente Pd Matteo Orfini.
FESTIVAL DEI SOSPETTI
Sbaglia però chi immagina un burattinaio a tirare le fila della congiura. Due passi a Montecitorio bastano a smentire qualunque ipotesi di complotto. L’ unica voce Pd apertamente contraria è quella di Rosy Bindi: lei non voterà la riforma e lo annuncia senza paura. Specularmente scontento Gianni Cuperlo: lui non vota la fiducia, però sosterrà la legge. Nel palazzo regna il torpore, di certo non l’ eccitazione tipica delle grandi vigilie. Se il «Rosatellum» farà la pessima fine del «Tedeschellum» sarà per la miriade di frustrazioni individuali che, sommate insieme, potranno fare massa critica.
ROSATELLUM
Dentro Forza Italia sono in rivolta gli onorevoli da Bologna in giù, perché sanno che dei collegi uninominali al Centro e al Sud il Cavaliere non ne porterà a casa uno; nel Pd, viceversa, il maldipancia afferra quasi tutti i deputati del Nord perché la speranza di essere rieletti nella quota maggioritaria sembra pari a zero. Per tutti questi scontenti sarebbe meglio il mix attuale tra liste bloccate e preferenze. La tentazione di votare contro è bilanciata solo dal terrore di venire scoperti. Anche per questo mettono in giro strane voci, secondo cui ad affondare la legge sarebbero proprio gli amici di Renzi.
I quali sdegnati minacciano contromisure nello stile della casa che consiste nel parlar chiaro. «Vi conosciamo uno per uno», è il primo messaggio recapitato ai potenziali traditori. Il secondo: nel caso di sconfitta, nessuno verrebbe ricandidato, a parte i super fedeli al Capo.
LO SCUDO DEL COLLE
renzi mattarella gentiloni
C’ è chi va oltre e si domanda se Gentiloni potrebbe reggere dopo un urto del genere. Nel «Giglio Magico» sono tutti concordi che in quel caso il premier salirebbe al Colle per dimettersi, e le elezioni sarebbero anticipate a febbraio, con un mese di stipendio in meno per tutti i deputati. Lo scenario apocalittico non trova in verità conferme nelle altissime sfere istituzionali, dove chi le frequenta risponde così: «Dimissioni del premier? Per niente scontate. Gentiloni sarebbe reduce da tre voti di fiducia in due giorni, e ci sarebbe la Finanziaria da portare a casa».
Getta preventivamente acqua sul fuoco quella volpe navigata di Dario Franceschini: «Vedrete, la legge passerà in quanto nessuno avrà voglia di fare un autogol del genere che favorirebbe soltanto i grillini».
LA DENUNCIA DI NAPOLITANO
NAPOLITANO
Se tutto andrà come scommette Franceschini, domani la legge traslocherà al Senato. Una settimana al massimo per l’ esame in Commissione e dal 24 ottobre la resa dei conti in Aula. Anche qui, con il ricorso alla fiducia, sebbene a Palazzo Madama non ci siano voti segreti da scansare, semmai per fare più in fretta. Incombono le elezioni siciliane che potrebbero scompaginare i calcoli delle convenienze, vai a sapere se qualche leader sconfitto cambierà idea.
Ma proprio al Senato c’ è lo scoglio Napolitano da superare. Il presidente emerito rende noto che interverrà nel dibattito per contestare un aspetto specifico della legge (l’ indicazione del «capo politico» per ogni lista), e soprattutto per denunciare «l’ ambito pesantemente costretto in cui qualsiasi parlamentare può far valere il suo punto di vista». Una censura di metodo importante che, per l’ autorità da cui proviene, non può lasciare Renzi sereno.