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 2017  ottobre 06 Venerdì calendario

Cosa rimane di Puerto Rico

lI giorno in cui l’uragano Maria si è abbattuto su queste montagne, la terra bagnata ha cominciato a muoversi e a franare verso la valle. Ha superato i cancelli e le porte, I procedendo con ferocia e determinazione. Ha coperto e ha riempito tutto. “Sembrava cioccolata”, racconta Ferdinand Ramos, un poliziotto di 63 anni in pensione che vive nella comunità di Caonillas, nella regione centrale dell’isola di Puerto Rico. La sua casa era sulla traiettoria delle frane. Il fango viscoso è entrato nel salotto e in cucina, lasciandosi dietro una poltiglia che arrivava ai polpacci.Da quel momento, per otto giorni, Ramos, sua moglie Norma Jiménez e i componenti della loro famiglia allargata sono rimasti intrappolati. Nessuno è venuto ad aiutarli. La casa, all’estrema periferia di un centro abitato che si trova un centinaio di chilometri a sudovest di San Juan, la capitale di Puerto Rico, è diventata una prigione.
Anche dopo aver ripulito l’interno dell’abitazione, i Ramos non potevano andarsene: il fango, gli alberi sradicati e i pezzi di detriti bloccavano l’uscita, li 28 settembre, otto giorni dopo il passaggio dell’uragano Maria, un dipendente del comune è arrivato per sgomberare la strada, quando la famiglia aveva ormai praticamente finito l’acqua potabile.
Gli abitanti di Caonillas sostengono di essere stati abbandonati sia dal governo portoricano sia da quello di Washington. Non potevano mettersi in viaggio lungo il pericoloso sentiero che conduce alla città, le strade tortuose erano state cancellate. Le sei automobili della famiglia Ramos si trovavano in un garage crollato: cinque macchine erano rimaste schiacciate e un’altra era scivolata lungo un pendio e dentro un fiume.
La figlia dei Ramos, alla disperata ricerca di acqua potabile per Diana, la bambina nata da appena un mese, sta provando a raggiungere la città con l’autostop. Nel frattempo Norma Jiménez, 62 anni, si prende cura della piccola di due chili e mezzo, baciandola in fronte. “Mia figlia è uscita di casa molte ore fa e non è ancora tornata”, dice Jiménez.
Un numero imprecisato di famiglie è ancora intrappolato in questa area di Utuado, per gran parte inaccessibile nonostante siano passate due settimane dall’uragano. Sorvolando l’area con l’elicottero si capisce perché: le case sui crinali sono circondate da terreno franato e strutture distrutte sono sparse lungo i pendìi, con le persone che continuano ad agitare freneticamente le braccia versogli elicotteri. Alcune case sono talmente isolate e poggiano su terreni così devastati da essere irraggiungibili anche in elicottero o con i fuoristrada. I piloti spesso non possono atterrare vicino alle abitazioni, e non è chiaro come faranno le autorità a raggiungere le persone prima che le strade siano riparate, un’opera che potrebbe richiedere mesi. I residenti di questa zona dell’isola sono tagliati fuori dalla civiltà, e in alcuni casi per raggiungere il negozio più vicino devono camminare per quattro ore.
Washington è lontana
Portare aiuti e beni di prima necessità a Puerto Rico è difficile, e per arrivare a comunità isolate come quelle di Utuado serve ancora più tempo. In queste aree rurali, incastrate tra le montagne e lungo torbidi fiumi, non c’è un sistema di telecomunicazioni. Alcuni abitanti riferiscono di aver incontrato funzionari dell’Agenzia federale statunitense per la gestione dell’emergenza (Fema), che però non erano incaricati di portare aiuti umanitari ma si limitavano a fare una stima dei danni.
Carmen Yulin Cruz, la sindaca di San Juan, ha chiesto alla Casa Bianca di fare di più per aiutare i portoricani, e il presidente degli Stati Uniti Donald Trump l’ha attaccata su Twitter. Trump ha dichiarato che l’intervento del governo federale a Puerto Rico è stato un successo, ma viaggiando per l’isola si capisce che la gente, ancora impegnata a sopravvivere, ha un’opinione molto diversa. “Nei centri abitati della mia regione alcuni sono ancora senz’acqua”, ha detto in un discorso accorato Nelson Cruz Santiago, senatore che rappresenta la regione meridionale dell’isola. “A Utuado un ponte è stato sommerso e le persone urlano chiedendo aiuto a quelli che stanno sull’altra sponda. Possiamo sentirle, possiamo vederle, ma non possiamo aiutarle”.
A Utuado almeno tre persone sono morte a causa delle frane scatenate dall’arrivo dell’uragano Maria, il 20 settembre. Molti residenti di Caonillas temono che se dovesse ricominciare a piovere la montagna e le strade potrebbero cedere ulteriormente e travolgere di nuovo le case. Héctor Ruiz, assunto dal comune di Utuado per ripulire le strade, è quasi sempre la prima persona a incontrare le famiglie isolate. Usando una grossa scavatrice, ha aperto un passaggio in una montagna di detriti che aveva ricoperto l’autostrada 140.
Secondo Ruiz dovrà passare almeno un mese prima che la strada che porta a Utuado torni percorribile. Racconta di aver raggiunto una comunità di circa cinquanta famiglie intrappolata tra una strada impraticabile e un lago. “Non hanno modo di andarsene”.
Acqua torbida
Ana Rosa Cruz è riuscita a scappare da una di queste comunità isolate. Con suo nipote spunta da una strada piena di cumuli di alberi spezzati c fango, a Caonillas. La donna è stremata, fa fatica a respirare e ha le gambe coperte di graffi e tagli. Cruz, 58 anni, ha camminato per due ore prima di raggiungere una strada accessibile. Ha con sé contenitori vuoti da riempire con la benzina e deve camminare ancora un’ora prima di raggiungere la sua destinazione. Dall’arrivo dell’uragano, Cruz vive nella casa della madre, che non è stata travolta dalle frane. Racconta che lì intorno vivono altre otto famiglie, ma altre dieci sono ancora più lontano, a chilometri di distanza da tutto.
La madre, che soffre di problemi di circolazione, ha benzina con cui alimentare il generatore solo per altri due giorni. “Siamo costretti a bere acqua che viene dalla montagna 0 dal cielo”, mi spiega. “Se la sorgenti in montagna. L’acqua torbida va bene per lavarsi e per pulire, ma molti non si arrischiano a berla e di sicuro non la darebbero ai bambini.
Ma la figlia di Norma Jiménez potrebbe non avere scelta. Non riesce ad allattare la neonata, probabilmente perché è troppo stressata e non mangia abbastanza. Se non trovano acqua in bottiglia dovranno cominciare a bollire l’acqua che arriva dalla montagna per aggiungerla al latte in polvere.
Senza alternativa
La mancanza di generi alimentari è sempre più grave. Fuljencio Guzmàn e suo figlio Kelvin, di 12 anni, hanno perso la loro casa di legno. Ora vivono nella casa della madre di Guzmàn. Tutto il cibo rimasto alla famiglia è in una dispensa: un barattolo di fagioli, qualche barattolo di pomodori, cracker e un po’ di patate. Anche se riuscissero a raggiungere il negozio di alimentari più vicino, non avrebbero comunque i soldi per comprare niente. Le banche sono chiuse. Così oggi i Guzmàn faranno un pasto solo. A pranzo Kelvin mangia della pasta in barattolo c del riso.
Secondo Migdalia Guzmàn, un’altra abitante, il governo di Washington non ha capito che ci sono ancora persone che vivono qui, lontano dalle città e dalle telecamere. “Forse pensano che qui non ci sia nessuno”, dice. “Ma siamo in tanti”. L’uragano ha fatto precipitare enormi rocce direttamente sulla casa di Migdalia, dove la donna vive con i suoi bambini. Teme che il ritorno delle piogge possa provocare un’altra catastrofe: “Moriremmo tutti”. Un funzionario del governo locale le ha detto che dovrebbe spostarsi in un’altra casa per evitare rischi. “Ma non ho nessun altro posto dove andare”, gli ha risposto.