la Repubblica, 10 ottobre 2017
La medicina di Napoli barocca nelle stanze delle Pentite
Cara mammina sono ancora prigioniero ma la ferita va meglio…”, è l’incipit di una cartolina postale inviata cento anni fa. A spedirla alla madre dal fronte è un giovane soldato. Uno dei tanti, tantissimi catapultati nelle trincee della I Guerra mondiale. Una carneficina. Solo sull’Isonzo, nell’agosto del ‘17, si contarono 166mila morti. In memoria di quei tragici giorni il Museo delle Arti sanitarie di Napoli e la Croce rossa italiana hanno allestito “La Grande guerra a casa”. Un’esposizione particolare (fino al 30 novembre; info: 081 440647, www.museoartisanitarie. it) all’interno del complesso ospedaliero cinquecentesco degli Incurabili, arroccato sull’antica acropoli. Documenti, immagini, oggetti. Ma anche carrozze-ambulanze, sterilizzatori trainabili, “set” chirurgici e le sale operatorie da campo. E poi, i treni-ospedale, le sale-refettorio. Ogni angolo ospita un frammento di vita militare: divise, elmetti, farmacie portatili, missive, fotografie e testi musicali, a cominciare dalla “Canzone del Piave” del napoletano E. A. Mario (al secolo Giovanni Ermete Gaeta), il brano che fu l’inno nazionale italiano. In una vetrinetta c’è un pezzo di ferro. Scuro, arrugginito. È la scheggia di una bomba, una delle tante sganciate su Napoli da uno Zeppelin tedesco nella notte tra il 10 e l’11 marzo 1918. Il direttore del Museo, il chirurgo Gennaro Rispoli, fa da guida, illustra l’intero piano intitolato a Giuseppe Moscati, il medico santo che si era distinto come clinico e studioso. A Napoli ancora lo venerano. Durante il periodo bellico aveva diretto il reparto medico militare, curando personalmente oltre duemila feriti. Agli “Incurabili” il futuro santo aveva studiato, e ne divenne poi primario.
Il Museo – tra i più importanti dopo quelli di Roma e Padova – prende forma nel 2010 negli ambienti di un ex convento di suore ex prostitute (le cosiddette Pentite o Convertite), non lontano dal luogo dove ancora oggi si può ammirare un ineguagliabile esempio della Napoli barocca. È la Farmacia storica, gioiello settecentesco rimasto miracolosamente integro con tutta la sua sterminata collezione di vasi decorati, le raffinate maioliche, le scaffalature lignee, le splendide opere d’arte e i simboli esoterici e massonici in bella vista.
L’ospedale di Santa Maria del Popolo degli Incurabili era stato fondato nel ‘500 dalla nobile spagnola Maria Lorenza Longo. Una benefattrice che aveva a cuore l’assistenza alle donne, tanto da farne un polo per la cura della sifilide e da rendere a lungo la cittadella di Caponapoli la realtà sanitaria più importante del Mezzogiorno e tra le prime in Europa. Uno straordinario scrigno di storia della medicina dunque, ma anche di arte, scienza, religione. Nel chiostro alle spalle del museo si riuniva il gotha della cultura. Un chiostro che avrebbe bisogno, come la chiesa cinquecentesca (chiusa da decenni e abbandonata al degrado) di urgenti interventi di restauro. E così pure l’immenso cortile dominato dallo scalone monumentale della Farmacia. Oggi è solo un grande parcheggio.