Corriere della Sera, 10 ottobre 2017
Il vero ergastolano non é Battisti, é Alberto
Caro Aldo,
Cesare Battisti libero in Brasile! Ma mentre lui brinda beffardo davanti ai fotografi, le persone da lui assassinate rimangono morte per sempre!
Riccardo Vasdeki
Caro Riccardo,
Sono arrivati centinaia di messaggi indignati sul caso Cesare Battisti. Per capire chi è, vorrei parlare di una delle sue vittime: Alberto Torregiani, 53 anni, che da 38 vive su una sedia a rotelle, colpito nella sparatoria in cui il gruppo di Battisti uccise suo padre Pierluigi, gioielliere. Incontrai Alberto nel 2006, quando scrisse un bel libro, Ero in guerra e non lo sapevo, pubblicato da Agar. Mi raccontò la sua storia. Torregiani non era il padre naturale. Ricoverato in ospedale per un tumore al polmone, conobbe una malata terminale, Teresa, madre di tre bambini destinati all’orfanotrofio. Il gioielliere li adottò tutti e tre: Anna, Marisa e il più piccolo: Alberto. Una sera era a cena alla pizzeria Transatlantico. Arrivano i rapinatori, lui e un suo amico sono armati, sparano, muoiono un bandito e un commensale. Alcuni giornali titolano sul «giustiziere a Milano», sullo «sceriffo in borghese». Lui scrive lettere di precisazione, invano. Il commando dei Pac, Proletari armati per il comunismo, è in agguato: sparano, l’orefice risponde, cade, viene finito con un colpo alla testa. Suo figlio – 15 anni – ha una pallottola nella schiena. Battisti non c’era: secondo le sentenze definitive, quello stesso giorno partecipa all’assassinio del macellaio Sabbadin, a Mestre; ma sono pur sempre i Pac a colpire anche a Milano, e Battisti viene condannato per entrambi i delitti. Comincia per Alberto una lunga vicenda di ospedali, cure dolorose e inutili, speranze frustrate dalle ricadute e concluse dalla disillusione: il figlio dell’orefice non camminerà più, se non per brevi tratti. I creditori si accaniscono. La madre adottiva soffre troppo per il dolore del figlio, che decide di andar via di casa. Dopo la fiammata iniziale, la solidarietà degli estranei si spegne, si fa sentire il plumbeo clima ideologico, e Alberto preferisce nascondere la sua identità, celare la vera storia, raccontare di essere stato travolto da un’auto pirata. Ma riesce a evitare «la trappola più insidiosa, l’odio». A Battisti dice solo: «Il vero ergastolano non sei tu, sono io».