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 2017  ottobre 10 Martedì calendario

Cool. Da Lord Byron alla musica jazz dal cinema al design, un libro indaga le origini della parola che in tutto il mondo definisce lo stile

«Perché non posso essere cool?» si tormentava Woody Allen guardandosi nello specchio impietoso di Provaci ancora Sam. La parola non ha bisogno di traduzione: cool oggi è un termine globale. Può capitare di sentirlo pronunciare nel West Village di Manhattan come in un vicolo di al-Fustat, la parte più antica del Cairo. È traslitterato in un ideogramma cinese; ma le radio di Shanghai lo pronunciano all’inglese. La Treccani lo accoglie come aggettivo italiano: «Che riflette le ultime tendenze della moda, che riscuote ammirazione e meraviglia». È una voce nel Devoto-Oli già dagli Anni 70, che lo indicava come un termine tecnico della musica jazz. Nessuno lo usa con il significato letterale di «fresco».
La parola appare in decine di canzoni e film di questi anni, s’incarna in oggetti di design, si rifrange e moltiplica nella pubblicità e nella moda. È tra le parole più ricercate su Google. Soprattutto, lo specchio casalingo di Woody è diventato lo specchio collettivo dei social, dove tutti cercano affannosamente di essere cool. Ma, nonostante l’immensa popolarità, la parola è elusiva, elastica, trasformista. Lo racconta un libro appena pubblicato in Usa: The Origins of Cool in Postwar America di Joel Dinerstein. L’autore tiene anche un corso sul cool alla Tulane University di New Orleans. Non è il solo a scriverne. In Italia, per dire, è appena uscito Quanto sei cool di Gaetano Cappelli.
Le origini
La parola con accezione simile a quella di oggi appare nel Don Juan di Lord Byron – due tipi, l’autore e il protagonista, che i millennial potrebbero senz’altro definire cool. Il poeta usa l’aggettivo per un vecchio spadaccino accorto che disarma senza fatica il giovane eroe. Qui il significato unisce una certa competenza alla capacità di controllare le emozioni. Si delinea in quello che sarà il carattere del dandy, alla George Brummel, pronto a battute guizzanti come stoccate. Per questo equilibrio, il grande Duke Ellington considerava i londinesi «le persone più civilizzate del mondo». È uno strano senso del cool che unisce il jazzista nero all’upper class britannica. Lo stesso senso segreto che Frederic Henry, il protagonista di Addio alle armi di Ernest Hemingway prova mandando giù una sfilza di martini dry nel bar del Grand Hotel des Iles Borromées di Stresa, dopo aver disertato: «Non avevo assaggiato nulla tanto pulito e cool. Mi facevano sentire civilizzato». Siamo alla fine della Prima Guerra Mondiale, il contatto del jazz caldo con il fresco frizzante della parola cambierà presto entrambi.
La musica
Per Dinerstein è il sassofonista Lester Young a dare un senso nuovo al cool. «Lo modellò e ne fece una filosofia personale; i suoi assoli sono le fondamenta del cool jazz». Non è solo questione di musica. Per i musicisti afro-americani era la capacità di mantenersi calmi di fronte alle provocazioni dei bianchi razzisti. Resistenza e resilienza. «Play it cool». Suonala con smalto. Ma pure: rimani freddo. Young per nascondere le emozioni non si toglieva mai gli occhiali scuri. Anche se Billie Holiday, definita da Duke Ellington l’«essenza del cool», una volta perse la pazienza e sfregiò con un bicchiere rotto un barista che si rifiutava di servirle da bere per il colore della pelle.
Dalla musica al cinema, la coolness genera gli anti-eroi del noir figli della Grande Depressione: Humphrey Bogart e Robert Mitchum. Duri dall’anima tenera. Proprio il fantasma di Bogart appare a Woody dopo lo sfogo allo specchio. Per gli scrittori della beat generation la parola evoca fluidità nella prosa e nella guida delle auto, da una costa all’altra dell’America; le amicizie tra gli expats americani del jazz e gli esistenzialisti della rive gauche di Parigi, allenati a una sfida di coolness durante il periodo dell’occupazione nazista. L’interpretazione di Newman in Cool Hand Luke (Nick mano fredda) rimane uno dei più perfetti esempi di coolness, la capacità di affrontare le avversità con stile.
Se il Don Juan vale come data di nascita, il cool sta per compiere due secoli: Byron iniziò a lavorare al poema nel 1818. Oggi è una categoria del marketing, riferito perfino alle nazioni – la prima è stata la Cool Britannia di Tony Blair. I nerd miliardari della net-economy lo hanno tradotto nel calzare le sneaker in ufficio. Ma la definizione migliore è ancora quella che usava Hemingway per lo stile: «grace under pressure». Grazia sotto pressione. La più semplice, la più difficile delle ricette.