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 2017  ottobre 11 Mercoledì calendario

Si pentono gli stupidi. Intervista a Oliviero Toscani

Quando al telefono gli chiedo se dobbiamo darci del tu o del lei, risponde così: «Ma io e lei ci siamo mai incontrati? E allora, lo il tu non lo do a nessuno, neanche a mia moglie». Nel caso ci fossero dei dubbi: no, con gli anni non si è addolcito. Famoso per la capacità di dire sempre quello che pensa, fregandosene del politicamente corretto, almeno quanto per il suo lavoro. Oliviero Toscani a 75 anni è più motivato che mai. Dal 10 ottobre fino al 21 gennaio al m.a.x. museo di Chiasso, in Svizzera, sarà presente con Immaginare, una mostra antologica che ripercorre i suoi oltre cinquantanni di attività, dalle prime foto inedite di quando era studente al Kunstgewerbeschule di Zurigo, nei primi anni Sessanta, fino alle campagne di impatto mondiale, passando per gli editoriali pubblicati sulle più importanti riviste di moda del mondo. Non solo: è di pochi giorni fa la notizia che, dopo diciassette anni. Toscani è ufficialmente tornato a collaborare con il marchio Benetton. I tre cuori con la scritta bianco. nero giallo; la suora e il prete che si baciano; i preservativi usati a formare una bandiera; la madre nera che allatta il neonato bianco; il malato di Aids David Kirby poco prima di morire nel suo letto d’ospedale, circondato dai familiari: sono solo alcuni, i più famosi esempi, di quella che fu, tra il 1982 e il 2000, la comunicazione del marchio Benetton sotto la direzione di Toscani. Per la cronaca: parlando con lui sono proibite le parole «provocazione» («Mai provocato in vita mia»), «marketing» («La detesto, andrebbe tolta dal vocabolario») e «creativo» («Sono un fotografo»).
Che effetto le fa vedere messi in fila 50 anni di carriera?
«Le rispondo con il titolo di uno spettacolo teatrale di John Osborne: Look Back in Anger. Oppure con le parole della canzone di Jim Morrison: This Is tlie End, Beautiful Friend».
La canzone parla di morte.
«E logico. Una mostra così mi fa paura: non sono ancora morto e già mi celebrano. Sono un imbecille, mi hanno incastrato: darei qualsiasi cosa pur di non farla, ma ormai è troppo tardi. E poi è una gran perdita di tempo: le mostre non servono a niente. La gente va li per bere l’aperitivo, per vedere gli amici. Una fotografia quando non serve a niente finisce dentro a una mostra».
Per servire a qualcosa dove deve essere? Sui giornali?
«Oppure per strada, sui manifesti, dove la gente può vederla. In un museo quante persone possono vederla? Tremila?».
L’altra grossa novità è che ricomincerà a lavorare per Benetton.
«Non è ricominciare, è cominciare. Abbiamo fatto un comunicato congiunto in cui diciamo proprio questo: è ora di cominciare a lavorare per divertirsi. Dirigerò l’immagine della Benetton e tutto partirà da Fabrica, quel posto che mi sono inventato nel 1990. In questi 20 anni ho imparato molte cose, quindi non starò a rifare cose già fatte. Ma se mi chiede che campagna farò le attacco il telefono».
Le chiedo invece come si fa al giorno d’oggi a ottenere l’atten/ionc della gente, visto che lo span è ormai di pochi secondi.
«Facendola riflettere. Mettendola di fronte alla propria coscienza, un’attività che nessuno vuole fare. La fotografia, siccome è silenziosa, ti obbliga a questo».
Si è già occupato di Aids, pena di morte, anoressia, religione. Qual è il tema che le interessa oggi?
«L’integrazione. La diversità. L’immigrazione. Tutto ciò che Trump odia».
Lei Trump l’ha conosciuto?
«Si, pensi un po’. La Benetton aveva la scuderia di Formula 1 e ci fu la proposta di portare il Gran Premio negli Usa. Lo incontrammo nel suo ufficio, insieme al sindaco di New York: lì capii che cos’è il cattivo gusto».
Hillarv Clinton le sarebbe piaciuta di più?
«No, per carità. Meglio Trump: almeno si può contestarlo senza neanche sentirsi in colpa. E comunque se fossi stata una donna non avrei voluto essere rappresentata da una così antipatica».
Nel 1996 lei è stato candidato alla Camera per i Radicali. Nel 2006 per la Rosa nel Pugno. Che ricordi ha di quelle esperienze politiche? Si è mai pentito? 
«Non mi piace la parola pentimento. Ci sono esperienze in cui si ha successo e altre in cui si fallisce, ma si impara sempre, è esperienza. Anche gli sbagli sono utili».
Della situazione politica attuale che cosa pensa?
«Siamo tutti schiavi deH’immagine e quindi influenzabili. Si costruiscono paure: attentati, immigrati, violenza. Quando invece la gente muore più di suicidio che di terrorismo. E il suicidio parla chiaro: significa infelicità. Anche i vostri giornali di moda sono responsabili: dicono alle donne come devono essere e le rendono infelici. Vanity Fair provoca suicidi. Vediamo se questo lo scrive». 
Voterà alle prossime elezioni?
«Sì, ma non so ancora cosa. Spero di poter votare a favore e non contro. Non mi piace votare contro, ma alle volte si è obbligati».
II 22 ottobre in Veneto e in Lombardia ci sarà un referendum consultivo per l’autonomia regionale. Che cosa ne pensa?
«Che è una cretinata».
E favorevole allo ius soli?
«Ma certo. E la cosa più normale del mondo. Se fossimo davvero civili non ci sarebbe neanche da discutere, non ci vorrebbe neanche una legge. Sono per la libera circolazioni dei popoli».
Donatella Versace ha appena fatto sfilare le top model storiche. Che cosa ne pensa di questa nostalgia per gli anni ’90?
«Ma cosa vuol dire gli anni ’90? Io vado di mese in mese. La verità e che quando non c’è energia, fantasia e immaginazione si guarda indietro. Io guardo avanti. Appartengo alla generazione che quando aveva 20 anni diceva: non fidarti di nessuno che ne abbia più di 30. Sono un pre sessantottino. Sono della generazione di Bob Dylan, dei Rolling Stones, di Muhammad Ali». 
Quella generazione ha ancora cose da dire? 
«Non abbiamo niente da dire, ma le generazioni dopo hanno detto ancora meno. Ci sono individui, certo, ma se parliamo in generale è un disastro. Non c’è nessuno che contesta. In America gli è andata bene perché è arrivato Trump, almeno hanno qualcosa a cui ribellarsi. Avere un presidente pirla favorisce la contestazione, e questo è sempre un bene».
Recentemente ha fatto molto discutere la pubblicità del Buondì Motta, quello con l’asteroide che uccide i genitori. Un parere?
«Un giochino. Si sorride, ma dopo che lo hai visto una volta, alla seconda già ti annoia. E il tipico lavoro fatto da un’agenzia imbecille di pubblicità. Non rimane nulla. Invece lei si ricorda le mie campagne per Benctton. Si ricorda quelle della Fiat? O chi c’era in copertina di Vanity Fair? Non credo. Ma le mie immagini sì».
Dieci anni fa ha iniziato Razza Umana, un progetto che l’ha portata a fotografare persone in ogni parte del mondo.
«Giro il mondo con il mio sfondo bianco e fotografo la gente. A oggi ho fatto 70 mila ritratti. 11 grande insegnamento è che nessuno è brutto. Ogni essere umano è unico e irripetibile. Siamo tutti opere d’arte. E noi invece siamo solo interessati alle celebrities».