Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2017  ottobre 08 Domenica calendario

«Per la Brexit l’Inghilterra pagherà un prezzo più alto del previsto». Intervista a Paolo Magri

Paolo Magri, bergamasco, classe 1960, direttore dell’Istituto di studi di politica internazionale (Ispi) di Milano, non ne può più di essere indicato come possibile ministro degli Esteri di un eventuale governo Cinquestelle ed accetta invece di buon grado di fare il suo mestiere di analista e affrontare punto per punto le ultime crisi globali. 
In questi mesi si è capito qualcosa di più della politica estera di Trump? 
«Si è certamente capito che i timori sulla sua mancanza di esperienza e sulla sua imprevedibilità erano fondati e che l’annunciato isolazionismo era inconciliabile con la volontà di mettere gli interessi americani al primo posto. Il risultato è, per ora, una politica estera imprevedibile e confusamente interventista». 
Il presidente americano ha davvero premuto l’acceleratore sull’economia reale a scapito della finanza sfrenata? 
«L’agenda economica del candidato Trump non si è ancora tradotta in alcuna significativa azione di governo salvo segnali crescenti di allentamento delle regolamentazioni introdotte negli anni passati, incluse quelle per frenare gli eccessi della finanza. Il vero banco di prova per il possibile slancio economico sara però la riforma fiscale: promessa da mesi, accennata nei giorni scorsi, ma di ancora incerta realizzazione in assenza di chiarezza sulla sua copertura finanziaria». 
Cosa pensa dei vari scandali che fin qui hanno caratterizzato l’amministrazione americana? 
«In alcuni casi sono frutto delle goffaggini e dell’inesperienza; in altri, penso alle dimissioni legate al Russia gate, anche al clima da caccia alle streghe che si è creato dopo la sua elezione; in altri ancora regolamenti di conti fra le varie “bande” della sua cerchia ristretta. Il risultato finale è che, fra nomine non ancora effettuate e uscite di scena, i vertici dell’amministrazione sono ben lontani dalla piena e ordinata operatività». 
Cosa pensa della situazione nella Corea del Nord? 
«È la crisi più seria che, ricordiamolo, ha origini più lontane della presidenza Trump e responsabilità diffuse. I tweet del presidente Usa e le minacce danno però ulteriore stimolo e ragion d’essere alle follie del regime nord coreano. Nessuno ha chiaramente l’interesse di portare all’estremo le minacce verbali, ma un qualsiasi incidente potrebbe portare ad una escalation e ad un conflitto». 
Dietro alla Corea del Nord c’è sempre la Cina? 
«La Cina è stata per decenni il principale sostenitore della Corea del Nord per evitare la caduta del regime (e il conseguente disastro umanitario ai suoi confini) e soprattutto per impedire una riunificazione sotto l’egida della Corea del Sud alleata Usa. Una Corea del Nord nuclearizzata è però troppo ingombrante anche per Pechino che sembra spingere per una via negoziale, modello Iran. È difficile prevedere quanto questa opzione sia praticabile, soprattutto dopo le minacce di Trump di azzerare l’accordo». 
La Cina investe molto in Africa. Come mai? 
«Lo fa da almeno due decenni per garantirsi terre e materie prime necessarie al suo sviluppo e alla sicurezza alimentare della sua popolazione». 
Una voce ricorrente suggerisce che dietro alle ondate migratorie dall’Africa all’Europa ci sarebbe una pressione cinese. 
«Una voce priva di fondamento». 
In ogni caso, le migrazioni sono destinate a crescere o a fermarsi? 
«Possiamo sperare che si fermino le migrazioni legate a fattori contingenti (i conflitti che, si spera, terminino) ma è difficile pensare si arrestino le migrazioni economiche che sono la parte preponderante degli sbarchi nel nostro Paese». 
Come mai non si parla più della Siria? 
«Perché non arrivano più migranti in Europa, perché l’Isis è quasi annientata e perché Hassad ha convinto ormai tutti che non c’è alternativa al suo discusso ruolo». 
Più degli Stati Uniti è stato fondamentale l’intervento della Russia ? 
«Hanno spostato l’ago della bilancia garantendo la sopravvivenza politica di Hassad». 
Come finirà la Brexit ? 
«Con una Gran Bretagna che molto probabilmente continuerà per altri 4 anni, anziché i 2 previsti, a pagare i costi di Bruxelles e a seguire le regole comunitarie del passato senza però sedere ai tavoli delle decisioni europee. Un capolavoro politico!» 
E l’Unione europea? 
«Sopravviverà alla Brexit. Vedremo quanto saprà reagire al crescente nazionalismo di molti paesi». 
Cosa si aspetta dal nuovo governo Merkel in Germania? 
«Che continui a fare, come ovvio, gli interessi dei cittadini tedeschi. Quanto ciò si concili con gli interessi di altre aree europee è da vedere, soprattutto dopo il chiaro segnale dato dagli elettori e con il probabile ruolo dei falchi liberali nel nuovo governo». 
Il presidente francese Macron riuscirà a realizzare i suoi propositi europeisti? 
«Dipende anche, e soprattutto, dalla Germania. Ma un piano così ambizioso e articolato sul futuro dell’Europa è comunque una boccata di aria fresca dopo 10 anni di tormenti esistenziali del vecchio continente». 
In tutto questo l’Italia che politica estera sta facendo
«Da media potenza, quale siamo, cercando di rimanere ancorati al nucleo centrale europeo, di tutelare i nostri interessi nel Mediterraneo e nel mondo. In tutto scontiamo, come sempre, le fragilità della nostra politica. Basti pensare che in questa legislatura abbiamo cambiato ministro degli Esteri più o meno ogni anno». 
Le pare più difficile la politica estera italiana di oggi rispetto a quella passata? 
«La sua fragilità è sempre la stessa, mentre è aumentata la velocità con cui cambia il contesto esterno e si accrescono gli elementi di incertezza e rischio». 
Come potrebbe migliorare in futuro? 
«L’auspicio è quello di una maggior stabilità di governo che permetta politiche più continuative, ma temo resti appunto un auspicio». 
Lei è quotato come ministro degli Esteri in un eventuale governo M5s, c’è del vero? 
«Un clamorosa bufala». 
Ma se glielo chiedessero lo farebbe? 
«Non credo ci pensino minimamente, vedo comunque il mio futuro a continuare il mio lavoro in all’Istituto di studi di politica internazionale»