Libero, 8 ottobre 2017
Imprenditori massacrati: uno su 4 è povero
Di bonus in malus. La politica dei regali varata da Renzi e confermata da Gentiloni ha creato poca occupazione stabile e ha fatto strage di partite Iva. A denunciarla sono la Cgia di Mestre («Nel 2015 un autonomo su quattro ha avuto redditi inferiori alla soglia di povertà») e Confesercenti («Dal 2008 sono spariti 514 mila fra commercianti, artigiani, e piccoli imprenditori). Una caduta di salari e occupazione che annulla i (pochi) progressi fatti sul fronte della lotta alla disoccupazione.
La politica dei bonus inagurata dal governo Renzi sta creando, secondo le organizzazioni degli autonomi, una distorsione profonda del mercato del lavoro. Una ferita che sarà difficile ricucire visto che, da questo punto di vista, la continuità fra Renzi e Gentiloni è totale. La critica che viene da Cgia e Confesercenti è radicale: per i bonus (dedicati in sostanziale esclusiva al lavoro dipendente) sono stati spesi decine di miliardi (80 euro, decontribuzione per i nuovi assunti, 500 euro per i diciottenni). I risultati però sono stati largamente inferiori alle attese visto il proliferare dei contratti a termine. Il jobs act in questo senso si è dimostrato un autentico fallimento: era nato per favorire le assunzioni a tempo indeterminato grazie alle tutele crescenti e invece ha prodotto soprattutto contratti a scadenza. Forse sarebbe stato meglio se risorse tanto rilevanti (sei miliardi l’anno per gli 80 euro e circa 14 in tre anni con il bonus contributivo) fossero state destinate per gli investimenti evidenziando, come dice Confesercenti, «la mancanza di un piano per il rilancio occupazionale».
E così se il governo Gentiloni vanta i successi del jobs act come motore di nuova occupazione, le organizzazioni degli autonomi lamentano il progressivo impoverimento delle partite Iva sia come numero sia come reddito.
Gentiloni dice che il jobs act ha creato un milione di posti di lavoro (dai tempi di Berlusconi una cifra tonda che ha assunto valenza sciamanica). Confesercenti risponde che la chiusura dei piccoli negozi è estato pari all’8,7%. Un risultato negativo «che annulla di fatto la ripresa registrata dai lavoratori dipendenti nello stesso periodo». La strage del commercio minore ha provocato addirittura una rivoluzione sociale dice Confesercenti. «Fino a qualche anno fa l’Italia era considerata il Paese dei piccoli imprenditori ma forse, dopo dieci anni di crisi, non è più così».
La Cgia di Mestre aggiunge un elemento sociologico. A differenza dei lavoratori subordinati quando un autonomo chiude l’attività non dispone di alcuna misura di sostegno al reddito. Perso il lavoro ci si rimette in gioco e si va alla ricerca di una nuova occupazione. In questi ultimi anni, purtroppo, non è stato facile trovarne un altro: spesso l’età non più giovanissima e le difficoltà del momento hanno costituito una barriera invalicabile al reinserimento, spingendo queste persone verso forme di lavoro completamente in nero.
La conclusione è molto amara: «Fino ad una decina di anni fa aprire una partita Iva era uno status symbol». L’opinione pubblica collocava il neoimprenditore tra le classi socio-economiche più elevate. «Oggi, conclude Paolo Zabeo, capo dell’ufficio studi della Cgianon è più così: per un giovane l’apertura della partita Iva spesso è vissuta come un ripiego o, peggio ancora, come un espediente che un committente gli impone per evitare di assumerlo come dipendente».
Gli insufficienti successi ottenuti sulla strada delle riforme e dell’occupazione spiegano anche la promozione a metà che arriva da Moody’s. L’agenzia di rating riconosce che l’economia italiana è in ripresa. La situazione sta migliorando ma non abbastanza. Quindi il voto resta molto basso (Baa2). Come invariato resta la stima negativa. Perché se Roma è riuscita a evitare una crisi del sistema bancario più profonda e vive un momento di ripresa più sostenuta, pesa non poco l’incertezza sul futuro, soprattutto quella legata alle prossime elezioni legislative.
Vista da New York la campagna elettorale in arrivo assomiglia molto ad un ballo in maschera. Esiste «una considerevole incertezza» su quelle che saranno le politiche portate avanti dal prossimo governo, la capacità e la volontà di chi governerà dopo le elezioni di affrontare in maniera efficace le vulnerabilità del Paese. Massima incertezza sul proseguimento del risanamento e delle riforme.