Libero, 6 ottobre 2017
Insulti su Facebook: multe salatissime
L’Italia è una Repubblica fondata sul livore. Ognuno di voi può giungere a questa conclusione semplicemente scorrendo le vostre bacheche Facebook, Instagram e Twitter, o quelle dei vostri amici, dove haters, moralizzatori, molestatori e chiunque abbia un accesso alla rete, riversano insulti e sproloqui di ogni genere, spesso con contenuti diffamatori.
I social network vengono sempre più percepiti, da una buona fetta dell’utenza, come un pozzo dove riversare il peggio di sé, un luogo virtuale dove, protetti da una maschera, manifestano vere e proprie dichiarazioni di odio, offese senza limiti e violenze verbali imbarazzanti verso l’additato di turno. Tutte cose che, per carità, esistono anche nel mondo reale, ma che attraverso i social media diventano pubbliche, esplicite, tangibili ed accessibili a tutti.
CORTO CIRCUITO
Lentamente, infatti, si è sviluppato un puro corto-circuito, il quale, se da un lato rappresenta la vera forza dei social-media, dall’altro ha un effetto collaterale che ha contagiato moltissimi utenti, i qua-
li hanno radicato l’illusione di essere tutti sullo stesso piano, in una grande collettività quasi familiare, per cui si rivolgono a chiunque dandogli del tu, chiamandolo per nome, come se ci si conoscesse e ci si frequentasse regolarmente, e dove l’insulto diventa più facile,sgorga come una fonte naturale, e nello stesso modo viene rivolto a persone comuni, a politici, a giornalisti, a personaggi mediatici od esponenti del mondo dello spettacolo, con una confidenza irrituale e falsamente personale, alimentata dalla assidua frequentazione virtuale sul web di colui che si segue. Il problema in realtà riguarda non solo i volti noti, ma soprattutto la gente comune, che vede riversarsi il livore online, il quale viene manifestato specialmente da quei soggetti più deboli che in rete possono vedere applicate le proprie invidie e supportate le proprie vessazioni, per trarne intima soddisfazione. Inoltre i politici, soprattutto quelli più in vista, agli insulti sono abituati, se li sono sempre presi, fa quasi parte del loro ruolo, ma in questo caso restano turbati e colpiti, e spesso ricorrono alla denuncia presso la polizia postale, perché mentre prima la voce del popolo non arrivava quasi mai alle orecchie dei potenti, ora è pubblica, si sente e si legge regolarmente tutti i giorni, come un bollettino quotidiano.
Chiunque di voi disponga di un account su un social qualsiasi, avrà, almeno una volta, avuto modo di assistere a critiche feroci e volgari su vostre dichiarazioni, a teorie cospirazioniste per una vostra riflessione postata, e a turpiloqui di ogni genere da persone che non conoscete ma che vi seguono, che appaiono fidelizzare con voi, ed il cui profilo è zeppo di odio, di bufale e di bullismo, e queste persone agiscono indisturbate, convinte che le regole che governano il mondo reale non siano valide sul web. In realtà le norme che regolano il far west della rete esistono, e vengono sottoscritte nei termini di servizio a cui aderiamo con le singole piattaforme, e sono simili alle leggi che già regolano la vita offline, per cui quello che è illecito fuori dal web lo è anche in rete, ma sono princìpi che non riescono a placare lo tsunami di livore che emerge sui social, e che non vengono assolutamente rispettate. Basti pensare che in Italia Facebook, secondo i dati raccolti a dicembre 2016, ha rimosso appena il 3% degli hate speech, ovvero i proclami odiosi segnalati, incluse le istigazioni all’odio razziale, e le discriminazioni omofobe o misogine. La Germania lunedì scorso ha varato una legge che prevede multe salatissime, da 5 a 50 milioni di euro, per i social network che non eliminano i contenuti d’odio e le discriminazioni diffamatorie entro 24ore, e la nuova norma, che prevede tre mesi per adeguarsi e sarà operativa da gennaio 2018, sarà sorvegliata da 50 dipendenti del ministero della Giustizia tedesco, che avranno il compito di vigilare sull’applicazione del decreto. Si tratta della prima legge di questo tipo mai messa a punto su scala globale, varata in stato di necessità, poiché i crimini legati all’odio in rete sono aumentati del 300% negli ultimi anni, ed i post “hate speech” sono lievitati del 500%, al punto che migliaia di persone hanno abbandonato i social network per manifesta intolleranza a tale deriva.
SFOGATOI VIRTUALI
Proteggere la libertà di opinione, da sempre è l’obiettivo di ogni democrazia, ma non sempre risulta facile farlo su piattaforme che hanno iscritti ognuna più di tre milioni di utenti, e che risultano spesso incontrollabili nella loro totalità numerica. I social network sono diventati quasi degli spazi dedicati al disincanto dell’animo umano, degli sfoghi di insoddisfazioni represse, dei luna park per i frustrati dai toni altezzosi, dove vengono intrecciate relazioni ambigue da bellicosi personaggi aggressivi che lanciano i loro slogan pubblicitari, le loro fake news e le loro autopromozioni per restare nel “flusso”, per moltiplicare gli “amici” in un mondo, quello della rete, che ha reso le loro possibilità amplificate all’infinito. Gli haters digitano alla velocità della luce per fotografarsi e dimostrare che esistono, per distinguersi dalla massa che li evita, creando connessioni che tutti superano in quantità gli scambi che hanno nella vita reale, cercando attentamente tra i follower coloro da colpire e contestare. Spesso agiscono sotto mentite spoglie, con identità di comodo, ed a nulla serve ignorarli e non rispondere alle loro provocazioni, poiché queste persone trovano sempre il modo, diretto o indiretto, di disturbare le nostre vite virtuali come dei veri e propri professionisti della molestia.
IL CASO MENTANA
Enrico Mentana è stato il primo dei personaggi famosi, tre anni fa, ad abbandonare ed uscire da Twitter, lamentando pubblicamente la violenza verbale alla quale era regolarmente sottoposto da quelli che lui ha definito webeti, ma da allora in Italia non è cambiato nulla, anzi l’odio ed il livore risulta centuplicato, e soprattutto impunito. Dai social vengono a galla tutte le frustrazioni più nascoste e le invidie sociali, che i sociologi definiscono “l’inconscio digitale”, che è il comune denominatore e motore di tale fenomeno, il quale si alimenta insieme alla incapacità di queste persone di crescere culturalmente, affetti come appaiono da mancanza di cultura, ignoranza e maleducazione dilagante. Basta pensare agli insulti ed alle minacce di lesioni traumatiche, anche fisiche, che abbiamo letto postate in rete da coloro che erano contro il decreto vaccini, e che sono arrivate alle promesse di morte rivolte al ministro della Salute. È certamente riduttivo incolpare di tutto ciò il governo ladro del momento, ed imputare alle sue riforme contestate o disprezzate questo fenomeno, ma fino a quando ingiustizie e disuguaglianze sociali saranno così evidenti, come accaduto in questi ultimi anni, i social continueranno ad essere la valvola di sfogo prediletta delle persone frustrate, infelici, invidiose ed appunto livorose.