il Giornale, 8 ottobre 2017
Campanile, il lato inedito e malinconico della risata
Aneddoto (umoristico): la prima moglie di Achille Campanile era particolarmente gelosa e possessiva – pare a ragione, lui era sempre in giro – e negli accessi d’ira, durante i litigi, si sfogava strappando i fogli su cui stava lavorando in quel momento il marito. Il quale ricorreva a uno stratagemma. Le pagine finite le buttava appallottolate nel cestino, e lasciava sulla scrivania le brutte copie. Passata la sfuriata, recuperava i fogli dalla carta straccia, li stirava e li mandava in redazione o all’editore di turno.
Cosa c’entra? Niente. Però fa ridere.
Achille Campanile – monocolo, doppiopetto e un senso unico per l’umorismo – ha fatto ridere per tutta la vita, anche se lui sorrideva appena. Fra i tanti funamboli che nel corso del nostro ’900 hanno dato spettacolo passeggiando avanti e indietro sulla corda tesa fra letteratura e giornalismo, è stato fra i più applauditi. Iniziò per sbaglio, raccomandato dal padre, alla Tribuna, come correttore di bozze, nel 1917 – sembra un secolo... – e finì come scrittore vendutissimo, a casa Rizzoli, con il celebre Manuale di conversazione che vinse il premio Viareggio nel ’73, e Gli asparagi e l’immortalità dell’anima, che uscì nel ’74. Achille Campanile uscì invece di scena – negli ultimi anni, malato, si ritirò a Lariano, vicino Velletri, e del resto In campagna è un’altra cosa – nel ’77. Quarant’anni fa. Per lui, che sopportava la vita e scherzava la morte, è una specie di compleanno. Auguri.
E c’è anche un regalo, per l’occasione. Eccolo qui. Grazie, arcavolo! (è l’ultimo verso del suo epitaffio...), un volume pubblicato dall’editore Aragno che raccoglie scritti inediti e dispersi di Campanile. Din don dan! Che festa, per i lettori. E che fatica, per i curatori. Angelo Cannatà e Silvio Moretti (che stanno anche trascrivendo i diari dello scrittore, usciranno nel 2019) hanno scartabellato per mesi l’archivio messo a disposizione dal figlio di Achille, Gaetano, tirando fuori una cinquantina di «pezzi» del Campanile giornalista, uno che collaborò con quotidiani e riviste tutta la vita, per farci quattro soldi e due risate. Comunque... Si tratta di semplici veline e vecchi ritagli di giornali. Materiale frutto del suo lavoro per La Gazzetta del popolo, ad esempio, e poi Il Settebello o il Corriere d’informazione o testi usciti su Nuova Antologia. Cose, insomma, che nessuno ha mai letto. O ha dimenticato. E così l’autore dell’Inventore del cavallo – tra articoli più surreali e altri più intimisti – torna a far ridere e commuovere. Esempi? Beh, tra i pezzi inediti c’è la storia – in puro stile Campanile, un po’ calembour un po’ nonsense – di Gastone Barilla detto «L’Incomparabile» (che è anche il titolo della velina dattiloscritta di una pagina senza data), non perché nessuno potesse compararsi a lui, ma unicamente perché non fu mai possibile indurlo a far da «compare», cioè padrino, a qualcuno... Oppure una dolce dichiarazione d’amore alla Luna. O il racconto sconosciuto (e bellissimo) La favola di Giorgio che volle un’ora, il cui protagonista vuole suicidarsi, ma continua a ritardare di ora in ora l’estremo gesto... O le raccomandazioni al figlio su come difendersi dai Ladri, «ma non quelli che vanno borseggiando sul tram», semmai quelli veramente pericolosi, quelli che «non fate in tempo a trovare una legge, che trovano l’inganno», e «ci sono dei cretini che persino li ammirano» (pezzo inedito di un inedito Campanile moralista...).
«Sono tutte storie che convivono indissolubilmente con quelle delle opere più famose di Campanile – spiegano i curatori -, storie che oscillano dal riso scemo con cui Pietro Pancrazi definì l’umorismo di Campanile a pagine intrise di lirismo e velate di tristezza».
Ah. A proposito. Basta, per favore, con il luogo comune secondo cui «definire Achille Campanile un umorista è riduttivo». Che fosse un grande scrittore, tout court, era lui il primo a dirlo. Con pagine come queste.Luigi Mascheroni
Leopardi è come un ricordo d’infanzia per ognuno di noi
Bisogna intendersi su di essa. A me piace ciò che ha un contenuto poetico, una sostanza poetica. Ma la poesia formale, tradizionale, quella, per intenderci, basata su schemi classici, non mi piace. Specie quella francese (che del resto è la sola che posso leggere, dopo l’italiana). La trovo enfatica e faticosa, oltre che noiosa a leggersi: Mallarmé, Baudelaire, Verlaine. Non riesco a stare attento fino in fondo a un sonetto e quello che dice il poeta non m’interessa. Quando leggo una poesia, certe volte mi accorgo d’essere arrivato all’ultimo verso senza aver afferrato il senso, come se non avessi letto. Mi distraggo alle prime parole e vado avanti meccanicamente. Sarebbe possibile oggi leggere un poema? Omero, Virgilio, Dante. Forse ci vorrebbe una poesia fatta di sprazzi, di lampi, una poesia-liberazione, e perciò anche liberazione dai legami della metrica. La quale metrica potrebbe invece resistere con qualche successo in tiritere estremamente semplici e addirittura puerili. Ma quanto a poesia, ce ne vorrebbe una non costruita ed elaborata, ma che sia documento - persino in certi casi patologico -, che sia balbettìo di persona in trance, frutto d’una specie di siero della verità, forse frutto dell’inconscio. O poesia di pensieri.Non parliamo di Victor Hugo che è spesso insopportabile. Quanto agl’italiani, amo alcuni brani, moltissimi versi e il continuo ansito della Divina Commedia; amo molti versi sparsi del Duecento, qualche accento di Tasso; meno gli altri grandi, decrescendo fino ai giorni nostri; moltissimo tutto Leopardi; il ragazzo infelice resiste; è come un ricordo d’infanzia per tutti. Persino la casa e i luoghi di lui a Recanati sono intrisi della sua poesia. Come se egli fosse ancora vivo e ragazzo. Ma in generale i classici! Ragazzo, trovavo spesso nelle antologie scolastiche: «O vaghe montanine pastorelle - d’onde venite sì leggiadre e belle?». E da dove volete che vengano? Dalla montagna, se sono montanine pastorelle. Dal chiuso del gregge. Sta a vedere che verranno dall’istituto di bellezza. È una interrogazione retorica, d’accordo; che, cioè, non sta lì per avere una risposta. Pure, la poesia! Io stesso sono poeta. Ma ormai la poesia è tutta una cosa di sostanza. Tutti sanno fare dei versi, ma i versi, con le rime, prendono la mano, e allora addio poesia. Achille Campanile