la Repubblica, 8 ottobre 2017
L’amaca
Parlando non da costituzionalisti, ma da avventori appoggiati al bancone del bar, diciamoci che un maggioritario secco secco, papale papale, avrebbe per questo paese un difetto imperdonabile: consentirebbe di sapere, appena chiuse le urne, quale partito o coalizione governerà per cinque anni; e gli altri li manderebbe a fare il nobile mestiere dell’opposizione. Questa severa chiarezza dell’esito è troppo poco italiana, perché inchioda ciascuno al proprio ruolo e impedisce successivi slittamenti, abboccamenti, assestamenti, mutamenti, patteggiamenti. Il solo vero criterio “maggioritario” con qualche probabilità di successo, dunque, è che la maggioranza dei partiti il maggioritario non lo farà mai, perché limiterebbe assai (a parte la fase pre-elettorale nella quale si decidono coalizioni e programmi) il potere di manovra degli stati maggiori, spopolerebbe i corridoi dove si trama e sfoltirebbe il sottobosco dove allignano traffici di voti e di favori.
Per questo un maggioritario vero mai lo avemmo e mai lo avremo. Ed ecco avanzare il Rosatellum, ultimo di una serie di pittoreschi accrocchi, un proporzionale con foglia di fico maggioritaria fatta di coalizioni che durano, direbbe il poeta, lo spazio di un mattino, perché dispensate da un programma comune e da un patto di legislatura. Auguroni.