la Repubblica, 7 ottobre 2017
Meno imprese e più disagio: ecco perché la città è in crisi
TORINO Il rapporto Rota è un pugno nello stomaco. La città della Mole si era sempre raccontata come una metropoli colpita dalla crisi, ma mai spezzata. Ora l’analisi economica più approfondita che esista su Torino, condotta ogni anno dal Centro Einaudi, dipinge un quadro in cui «i segnali negativi tendono a prevalere».
«Per valore aggiunto prodotto, Torino è penultima nel Centro-Nord. Rispetto al 2008 fa parte del gruppo di città, con Genova e quelle meridionali, in cui si sono registrati i peggioramenti più significativi», rileva il rapporto Rota. A uscire ammaccata dall’indagine è soprattutto la manifattura. «Il declino complessivo del valore aggiunto si associa a un minor apporto dell’industria», si legge nelle conclusioni. Il peso dell’industria è diminuito, mentre in proporzione sono saliti gli apporti del settore immobiliare e della pubblica amministrazione. Il risultato è che oggi le fabbriche producono solo il 17,4% della ricchezza, meno di quanto accade a Firenze e a Bologna.
Fra il 2008 e il 2016 Torino ha registrato il secondo peggior saldo tra aziende nate e sparite. Il numero complessivo è sceso del 5,3%, solo Messina ha fatto peggio tra le città metropolitane (meno 9,5%). Nella prima fase della crisi, l’edilizia aveva retto, poi gli unici comparti che non hanno perso imprese sono rimasti il turismo e i servizi alla persona. In più, tra le realtà ancora in piedi ci sono poche società di capitale: in proporzione, solo Reggio Calabria ne ha meno.
Nel rapporto Rota c’è pure qualche segnale positivo. L’economia torinese è diventata molto più brava a esportare e ha continuato a investire in ricerca e a innovare. Chi si è salvato ora è più forte. Ciò che è mancato, ipotizza il Centro Einaudi, è «il ricambio generazionale tra imprenditori privati» in particolare nei servizi.
Così Torino è diventata più povera. I nuclei a basso reddito, i giovani e gli stranieri hanno subito «una crescente emarginazione sociale», che è stata solo in parte attutita dal «virtuoso mix tra pubblico e privato sociale» che rappresenta «il maggior punto di forza» della città.
Nell’analisi, il Centro Einaudi accusa la classe dirigente locale «una certa retorica autocelebrativa» che avrebbe creato «un effetto anestetizzante». La realtà, dice il rapporto, è che Torino «stenta a rimanere agganciata» all’area più dinamica del Paese, costituita dalle città interessate dalla ferrovia ad alta velocità. Il “triangolo industriale” con Genova e Milano è un ricordo: «Torino risulta oggi con sempre maggiore evidenza una sorta di cerniera tra Nord e Sud e per diversi aspetti un’area urbana ormai più simile a quelle del Mezzogiorno».