La Stampa, 8 ottobre 2017
«Per anni siamo rimasti in silenziO. Tutto è cambiato col figlio di Riina in tv». Parlano i genitori di Claudio Domino, freddato nel 1986 a Palermo
«Com’era Claudio? Un monello, un monello dolcissimo». Mamma Graziella s’illumina di un sorriso, un lampo negli occhi severi. Lui, Claudio Domino, è stato ucciso il 7 ottobre 1986, a 11 anni, mentre giocava di fronte alla cartolibreria della madre, tra i palazzoni nuovi del quartiere di San Lorenzo, a Palermo. «Ehi, Claudio, vieni qui», lo chiama un uomo a bordo di una motocicletta. E lui, piccolo e arruffato, con i suoi occhioni neri, si avvicina senza paura. Quello tira fuori una pistola, gliela punta in fronte e lo fredda. L’omicidio più misterioso della Palermo nera. Senza un movente, senza una verità, senza una condanna. Solo la flebile, contraddittoria traccia di collaboratori di giustizia secondo i quali Claudio aveva visto confezionare dosi di eroina in un magazzino del bar di fronte. O che tirano in ballo l’appalto per la pulizia dell’aula bunker vinto dalla società del padre, in quegli anni durissimi in cui si svolgeva il maxiprocesso.
Adesso madre e padre sono qui, a Villa Niscemi, a Palermo, nel trentesimo anniversario della morte del figlio, in mezzo a una nuvola bianca che sale verso il cielo, 108 palloncini, tanti quanti sono i bambini ammazzati dalle mafie, dal 1896 a oggi. «Giù le mani dai bambini» c’è scritto sui palloncini. «Perché questa nostra battaglia non è soltanto per il nostro Claudio – spiega la mamma, 63 anni – ma è per tutti, per tutti gli invisibili, per tutti coloro di cui non si parla più, spariti dalla cronaca. Ma ancora ferite aperte per madri, padri, fratelli. Gente con cui ci scambiamo i nostri dolori». Bambini che hanno lasciato stanze vuote, giocattoli, videogiochi silenziosi, armadi pieni di vestiti gelidi.
Un impegno arrivato tardi, dopo anni in cui la famiglia Domino ha preferito non esporsi. «C’erano gli altri miei due figli da crescere, oggi hanno 46 e 32 anni, vittime anche loro – spiega -. Abbiamo reso le nostre testimonianze ma abbiamo anche temuto che la morte di Claudio potesse diventare una questione politica. Non volevamo che qualcuno potesse approfittare della morte di mio figlio. Poi qualcosa è scattato. Quando? Quando l’anno scorso abbiamo visto il figlio di Totò Riina intervistato da Bruno Vespa, una vergogna senza fine, con questo signore che diceva di avere tanto sofferto per l’assenza del padre, un padre assassino che nel suo racconto sembrava un padre perfetto. E noi, senza nostro figlio? E tutti i genitori privati dei propri figli? Quel giorno il nostro telefono ha cominciato a squillare senza sosta, sembrava impazzito. Tutti i familiari a chiamarci, a dire che bisognava fare qualcosa. Da lì è partito il nostro progetto di legalità, andiamo di scuola in scuola, in tutta Italia, a raccontare di tutti gli invisibili. Lo facciamo insieme alla fotografa Lavinia Caminiti, alla vicepreside della scuola “Borgese” di Palermo Rosanna Melilli, ai familiari di Giammatteo Sole, ucciso a 23 anni, anche lui dimenticato, anche lui innocente». Già, Sole. Unica sua colpa, quella di essere il fratello della fidanzata di Marcello Grado, figlio del mafioso Gaetano, che si pentì dopo l’arresto.
La verità, in casa Domino, è una chimera, un’entità inafferrabile. L’unica cosa certa è che due mesi dopo l’uccisione di Claudio sparì nel nulla – lupara bianca – il titolare del bar davanti al quale era avvenuto l’agguato, Salvatore Graffagnino. Il collaboratore di giustizia Giovanbattista Ferrante racconta che Graffagnino, sotto tortura, avrebbe ammesso di essere il mandante del delitto. Claudio sarebbe stato ucciso perché aveva visto confezionare alcune dosi di eroina in un magazzino del bar. Di sicuro c’è anche che il boss Giovanni Bontate, in un’udienza del maxiprocesso, lesse un documento dove si dissociava dall’omicidio del bambino pronunciando la parola «noi», cioè la mafia.
Mamma Graziella però una verità non ce l’ha. «Non sappiamo ancora quello che è successo, mio marito aveva l’appalto della pulizia dell’aula bunker, secondo alcuni pentiti il poliziotto Giovanni Aiello, detto “faccia di mostro”, morto pochi mesi fa, si è vantato di avere assistito all’omicidio del mio bambino. Cerchiamo ancora la verità». L’ultimo suo ricordo di Claudio? «L’ultimo non saprei dirlo, mi è rimasta molto impressa la sua voce quando ha saputo che ero di nuovo incinta. Era con un suo amichetto, all’angolo della strada, aveva 10 anni. Mi urlò: “Mamma, ma vero è?”».