Il Sole 24 Ore, 8 ottobre 2017
Ugo Dotti: l’Umanesimo ritrovato
Il 27 settembre a Roma ci ha lasciato l’italianista Ugo Dotti. Era nato nel 1933. Era professore emerito dopo avere coperto la cattedra di Letteratura Italiana all’Università di Perugia ed è autore di opere come la Storia della letteratura italiana e Machiavelli rivoluzionario (edite da Carocci) e La Rivoluzione incompiuta. Società politica e cultura in Italia da Dante a Machiavelli (edita da Aragno, nel cui ricco catalogo sono presenti anche le numerose opere tradotte da Dotti dal latino, in primis quelle di Petrarca). Della Rivoluzione abbiamo già avuto modo di parlare in queste pagine, sottolineando l’importanza per l’Italia di oggi di tornare allo spirito che animava i primi umanisti. Dotti parla di un protoilluminismo e un protorisorgimento italiano, con Dante, Boccaccio, Petrarca e Machiavelli protagonisti, traditi poi dal Rinascimento, per non essere riuscita l’Italia di allora a costruire uno stato unitario e per aver subito più di altri Paesi le conseguenze del Concilio di Trento. Si è abbandonata così la vera vocazione dell’umanesimo, che era quella di formare cittadini pensanti e dotati di spirito critico, in una dimensione culturale in cui non esistono contrapposizioni con quella mentalità che avrebbe alimentato la scienza moderna, le cui rivoluzioni riguardano sia lo studio della natura (Copernico, Galileo) sia lo studio dell’uomo e della società (dove si staglia la figura del sempre bistrattato Machiavelli). Il libro si chiude con queste parole: «Se il pensiero cinquecentesco italiano può apparire, se non complice, tale almeno d’avere in qualche modo favorito l’atmosfera di ristagno e di pesante conservazione che s’instaurò sull’Italia spagnola, è anche vero che con altri ma decisivi suoi esponenti – Machiavelli, Bruno, Galilei – si inserì autorevolmente nella battaglia di liberazione che ormai, fuori dei confini della nostra penisola, si combatteva sulla scena europea (Francia, Inghilterra, Olanda). Per secolizzare le concezioni della trascendenza e ricondurle nel più problematico ambito dell’umana immanenza». Ambito nel quale avevano cercato di introdurci, appunto, umanisti come Petrarca. Prendiamo ad esempio il De remediis utriusque fortunae, tradotto e curato per Aragno sotto il titolo I rimedi per l’una e l’altra sorte. «Nel De remediis - scrive Dotti – gli ammonimenti e le proposizioni contrarie ai fallaci pregiudizi umani vengono pronunciati dalla Ragione, ovverosia da quanto c’è di più proprio dell’uomo e di più nobilmente e tipicamente umano (anche se dall’uomo, purtroppo, tanto trascurata)». Nel De remediis Dotti vede «farsi avanti quel “giudizio critico” che proprio l’uomo produce in virtù della propria disinteressata riflessione su ciò che è bene e su ciò che è male, avendo in vista, molto spesso, non già il solo interesse personale ma anche quello più generale della società in cui vive la società civile». Petrarca intendeva insomma «insegnare al mondo l’arte che in termini più moderni si definirebbe del “saper vivere”». E, accanto alle più tradizionali descrizioni delle umane sciagure (da fronteggiare non affidandosi solo a Dio ma soprattutto alle proprie virtù interiori), si poneva un problema di cui Dotti sottolinea l’originalità: «Quando l’uomo si accorge che il corso della propria esistenza viene svolgendosi nelle circostanze più favorevoli e nella pienezza dei propri successi, come deve comportarsi? Abbandonarsi alla sfrenatezza della gioia e alle blandizie che da ogni lato lo circondano o sapere accortamente mantenere quel senso della misura già tanto caro a un Orazio e, saviamente rivolgendo la propria mente all’incerto futuro, sapere rientrare in se stesso? In breve: fare o non fare uso di quelle armi della critica di cui la natura lo ha dotato e che una ristretta schiera di eletti – i grandi filosofi dell’antichità – non hanno fatto che divulgare?».