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 2017  ottobre 07 Sabato calendario

«Vogliamo meno sorrisi e più rispetto. Essere down non è una malattia»

«La mia non è una malattia, mi sento come gli altri ragazzi: solo mi serve più tempo per imparare». «Per me l’essere down è stato difficile da accettare: quando la mamma me l’ha detto ho pianto tanto tanto. E anche adesso qualche volta succede». «Sì, credo che sia uno svantaggio il mio, ma in realtà mi sono anche reso conto di essere super particolarmente speciale».
Erica, Giovanni, Eugenio. E con loro altre ragazze e ragazzi della «Casa delle idee» di Bologna, luogo in cui sperimentano nuove competenze per vivere in autonomia, che hanno accettato di spiegare in prima persona cosa significhi essere persone con sindrome di Down (di cui domani si celebra la giornata nazionale), quali siano le difficoltà quotidiane e quali i desideri e gli auspici per il futuro. «Mi ha impedito di avere la patente, di andare all’Università, di avere il ragazzo che volevo io, cioè normale – spiega Nicol – Sono autonoma, ma non indipendente. Ho un lavoro importante, colleghi che mi apprezzano tantissime, passioni come gli arazzi, l’arte moderna, i viaggi e la bellezza. Spero che la vita ora mi riservi belle soprese: vorrei poter scegliere e decidere».
«So andare in autobus, so prendermi cura di me stesso, so farmi la barba e so prendermi delle responsabilità» – aggiunge Tobia – E da quando ho un impiego a tempo indeterminato mi sento cambiato, i colleghi mi trattano come un lavoratore e sento che posso fare il mio dovere. E non vedo l’ora di andare a vivere con la mia ragazza Erica». «Per me essere down è solo avere un cromosoma in più – precisa Elena – E a chi mi sta intorno vorrei dire di non trattarmi come una bambina piccola. Perché sono grande. Adulta. Capace di esprimere i miei pensieri».
«Sì, lo sguardo della gente è duro da sopportare: quando qualcuno mi fissa mi fa male. Mi rende incapace», spiega Giovanni: mentre Agnese ha solo una richiesta: «Avere rispetto». E poi aggiunge. «Faccio fatica a parlare chiaro, a lisciare i capelli dopo la doccia, ad andare in giro da sola e a fare delle scelte importanti. Ma so che mi piacerebbe avere una casa, in cui stare con il mio ragazzo». «Vorrei che chi mi sta intorno mi guardasse diversamente, con meno sorrisi e senza compatimento – conclude Nicol – Mi sento giudicata dalle persone che non mi conoscono. Mi dà dolore essere in mezzo a soggetti che hanno un trattamento particolare nei miei confronti e che non si comportano spontaneamente. Questa diversità mi rende fragile. E sento il bisogno di buttare fuori tutto il malessere che mi cresce dentro».