il Fatto Quotidiano, 6 ottobre 2017
Lo Stato ci spierà: telefoni e web controllati per sei anni
Il Senato non se n’è accorto o se lo ha fatto, lo ha ignorato, tanto che ha già approvato la prima delle due norme destinate a stravolgere la gestione dei dati e delle tracce che tutti gli italiani lasciano quando telefonano o navigano nel web.
Ieri è iniziata la discussione in aula per il voto definitivo su un ddl apparentemente innocuo dal titolo “Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea”. Una serie di provvedimenti che, nelle intenzioni, dovrebbero limitare il rischio di infrazioni europee e contenziosi ma che nella realtà si traduce in un pastone di norme di tutti i tipi approvate con urgenza.
Oltre alla questione legata all’estensione del reato di negazionismo, che ha di fatto bloccato e rimandato l’esame del dispositivo alla settimana prossima, ci sono due punti critici. Il primo, già approvato: l’articolo 2, che affida nuovi poteri di controllo per la violazione del copyright sul web all’Agcom (Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni). Il secondo: si estende a sei anni la durata della conservazione dei dati telefonici e di traffico internet degli italiani. Il rischio è che la settimana prossima, l’emendamento che lo stabilisce – a firma del deputato e responsabile giustizia del Pd, Walter Verini – sia approvato così com’è. Partiamo da qui.
I dati. Governo e Parlamento hanno ignorato gli avvertimenti lanciati più volte negli ultimi mesi sia del Garante della Privacy, Antonello Soro, sia dal garante europeo, Giovanni Buttarelli. Parliamo della cosiddetta data retention, la conservazione dei dati che riguardano le telefonate e il traffico internet: data, ora, durata, mittenti e destinatari, telefonate perse, siti internet. Saranno conservati per sei anni, quattro in più rispetto a quanto finora. Per fare un esempio: si tratta dei cosiddetti “tabulati” usati durante le indagini. Le informazioni sono detenute dai provider, ovvero da chi offre il servizio (Tim, Vodafone, Fastweb&C.). Una scelta giustificata con la lotta al terrorismo, ma che può trasformarsi in sorveglianza di massa, in un disastro in caso di attacco hacker. Fino a oggi, il limite di conservazione previsto dal Codice del Garante della privacy è stato di due anni per le telefonate, sei mesi per quelle senza risposta e un anno per i metadati della navigazione online. Abbiamo chiesto ai maggiori operatori italiani qualche unità di misura: la proposta, in pratica, triplica quanto previsto per il traffico della telefonia, sestuplica per il traffico dati e aumenta di 72 volte la conservazione dei dati sulle chiamate senza risposta. Implica, poi, un aumento dei costi di alcune decine di milioni di euro: serviranno nuovi archivi digitali (storage) e particolari misure di sicurezza.
Copyright.L’articolo 2, invece, è già stato approvato. Vengono affidati All’Agcom nuovi poteri (l’input è del deputato del Pd, Davide Baruffi). “L’Autorità – si legge nel testo – su istanza dei titolari dei diritti, può ordinare in via cautelare ai prestatori di servizi… di porre fine alle violazioni del diritto d’autore e dei diritti connessi. L’Autorità (…) individua le misure volte a impedire la reiterazione”. In pratica si assegna all’Agcom il compito di intervenire in modo preventivo sui casi di presunta violazione (ad esempio se si condividono film pirata) enon serve,l’autorizzazione del giudice nonostante le direttive Ue dicano il contrario. “Soprattutto – spiega l’avvocato e blogger del Fatto Fulvio Sarzana – l’unico modo per impedire la reiterazione del reato potrebbe essere una sorta di intercettazione di massa. I filtri contro i contenuti che violano i copyright possono essere imposti solo dalle piattaforme. Ma l’Agcom ha potere solo in Italia”. Tradotto: si dovrebbe chiedere ai provider italiani di tracciare i movimenti dei cittadini per vedere cosa fanno e dove vanno online. “Un’assurdità – spiega Sarzana – tracciare tutti gli italiani e obbligare i provider a farlo”. Non resta che sperare che il provvedimento torni alla Camera e che poi finisca la legislatura. Va bene anche se accade per colpa del negazionismo.
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Il garante Ue: “Legge fatta male e sproporzionata. Rischio incostituzionalità”
“Èun tema complesso chevede la contrapposizione tra chi è a favore della privacy e chi è a favore del bene supremo dell’accertamento dei reati. Non è però questo il modo per dirimerlo”. Giovanni Buttarelli è il Garante europeo per la Privacy. “Ma parlo prima di tutto come magistrato: rispetto chi, negli uffici giudiziari, ha a che fare con difficoltà di ogni tipo. Forze di polizia e magistratura non sono equipaggiate con tutte le risorse tecnologiche per combattere certe categorie di crimine. E come Garante europeo, non giudico una scelta sovrana del Parlamento”.
Però?
Però non c’è molta discrezionalità per il legislatore nazionale dopo il trattato di Lisbona, dopo la ‘costituzionalizzazione’ della carta dei diritti e due pronunce della Corte di giustizia europea. Sorprende che un tema così delicato sia stato affrontato senza un dibattito. É stato come un elefante che entra in una cristalleria mentre il resto dell’Europa pondera attentamente ogni dettaglio.
Come funziona nel resto d’Europa?
Dopo le sentenze della Corte Ue, molti Paesi non conservano più i dati. Al massimo li tengono per poche settimane. Le pronunce della corte Ue, poi, riguardavano la direttiva europea sulla quale era basato anche il sistema italiano dei 12 mesi e dei 24 mesi. Nella recente legge tedesca, si fissa il limite a dieci mesi e c’è maggiore attenzione al tipo di reato per cui vengono usate le informazioni, alla loro conservazione, al rischio che siano oggetto di un attacco cyber. A Cardiff, durante un consesso delle forze di polizia, è stato fatto notare che in più del 90% dei casi l’interesse delle forze di polizia riguarda gli ultimi sei mesi di traffico. Alcune Corti costituzionali (Olanda, Romania e Germania) hanno annullato le leggi nazionali che si erano spinte oltre.
C’è il rischio che questa norma sia bocciata?
Queste leggi possono essere dichiarate incostituzionali come nei tre paesi che ho citato e la commissione europea può portare lo stato membro dinanzi alla Corte di giustizia europea.
Bisogna intervenire?
Credo che debba essere preso sul serio l’impegno del governo a porre rimedio. La data retention, così com’è, non è né sostenibile né difendibile sul piano internazionale. Obbligare tutti i gestori a raccogliere sistematicamente notizie su persone che non hanno nulla a che fare vedere con i reati è un approccio che l’Europa considera fuori dai propri principi. Anche perché oggi è il traffico, domani potrebbero essere le autostrade, la videosorveglianza, i droni.
Sarebbe una vera sorveglianza di massa.
Il costo da pagare in termini di interferenza sui diritti della personalità e di etica pubblica non giustifica questo approccio.
Come dovrebbe essere una gestione ottimale dei dati?
Possono essere conservati fino a sei mesi e solo in caso di esigenze commerciali come la fatturazione. Se già gli utenti avessero una tariffa flat, bisognerebbe cancellarli. Bisogna conformarsi a questo trend. Anche se questo implicherebbe avere meno indizi per le indagini: è di questo che stiamo parlando, non di intercettazioni telefoniche, ma di dati in più a sostegno di una pista investigativa.
L’allarme dei garanti è stato ignorato?
Sono tutti consapevoli del problema, ma si è vincolati al voler portare questo ddl all’approvazione prima della fine della legislatura. Se l’emendamento fosse stralciato, la legge dovrebbe ritornare alla Camera e i tempi si allungherebbero. C’è però il bisogno di adeguarsi all’indirizzo europeo: così, non è un buon biglietto da visita.