Il Messaggero, 6 ottobre 2017
Spese pazze, lo scandalo dei diplomatici libici in Italia
La notizia è stata diffusa via Facebook: l’ambasciatore libico a Roma, Ahmad al Mabruk Safar, e altri cinque tra revisori finanziari e funzionari anche dell’ambasciata presso la Santa sede e il consolato di Milano, sono stati sospesi dal loro incarico. A darne notizia è stata la Ragioneria dello Stato libica con sede a Tripoli, che li accusa di aver provocato «un danno all’erario».
La decisione è stata presa in base al decreto numero 412 del 2017, firmato dal presidente dell’Audit bureau Khaled Shekshak. Nel provvedimento viene specificato che la sospensione è decisa «in via preventiva per aver assunto comportamenti che hanno arrecato un danno consistente all’erario pubblico». Oltre a Safar, l’organismo libico che è simile alla nostra Anac, contesta irregolarità nella spesa dei soldi pubblici, anche all’incaricato d’affari Mukhtar Saleh Salem Mahmud, e al revisore dei conti del consolato milanese, Mahmud Miftah al Tarhuni. A maggio scorso, altri 13 ambasciatori erano stati sostituiti in tutto il mondo, ma questa volta le contestazioni sembrano più pesanti, sebbene siano ancora tutte da verificare. È in corso un’indagine, ed è per questo che, nel frattempo, la Ragioneria ha deciso di bloccare i poteri dei diplomatici in Italia, finché non verrà fatta completa chiarezza.
LA DIFESA L’ambasciatore sospeso, comunque, non ci sta ad accettare le accuse. Spiega che tutto verrà chiarito. «Il decreto della Ragioneria – dichiara Safar – può essere interpretato come una manovra politica per screditare potenziali candidati per assumere cariche politiche nel contesto del dialogo patrocinato dalle Nazioni Unite per formare un nuovo governo secondo la roadmap di Ghassan Salamé (inviato dell’Onu in Libia). È semplicemente una misura precauzionale prima di avviare le indagini sulla gestione delle finanze pubbliche presso l’ambasciata e non influenzerà il ruolo politico e diplomatico». E aggiunge: «Quando saranno completati i controlli verrà pubblicato un decreto con i risultati. Sono sempre stato sostenitore dell’anticorruzione, della trasparenza e delle riforme nella pubblica amministrazione, pertanto auspico che vi sia un processo giusto e imparziale che si basi sul merito e sui fatti, non sul voto politico».
LA CORRUZIONE Shekshak, però, è sul piede di guerra. Già alcuni mesi fa aveva sottolineato quanto la corruzione fosse grave in Libia. Tanto che contesta persino al presidente Fayez al Serraj di «aver toccato il vertice quando ha iniziato a pagare stipendi regolari anche ai membri delle milizie armate che controllano e proteggono le installazioni petrolifere e che praticano il contrabbando di petrolio». Nell’ultimo biennio, poi, secondo il Libyan Observer, i ranghi del corpo diplomatico libico si sono triplicati e si sono riempiti di personaggi che, nella maggioranza, non hanno alcuna esperienza nel settore, ma ricevono ricchi stipendi grazie alla loro fedeltà ai nuovi governanti. Il giornale cita anche diversi episodi, tra i quali quello del ministro della Sanità del governo in carica che avrebbe nominato suo figlio attaché sanitario presso un’ambasciata libica in Europa, dalla quale il giovane pare controlli anche il flusso dei fondi di solidarietà stanziati dall’Unione Europea per sostenere gli ospedali libici. E altrettanto avrebbe fatto il generale Khalifa Haftar nominando i due figli ufficiali superiori del Libyan National Army.