È un quadro preoccupante quello che dipinge l’ultimo rapporto Ocse che si occupa (anche) di istruzione. «Solo il 20% degli italiani tra i 25 e i 34 anni è laureato rispetto alla media Ocse del 30%», si legge nello studio intitolato «Strategia per le competenze» presentato oggi al ministero del Tesoro. Tredici milioni di adulti hanno competenze «di basso livello», ha detto il segretario generale dell’Ocse, Angel Gurria, presentando il rapporto. Dove si sottolinea, una volta di più, un vizio già evidenziato in passato: «Gli italiani laureati hanno, in media, un più basso tasso di competenze» in lettura e matematica (26esimo posto su 29 paesi Ocse)». Ma non basta: i «dottori» che ci sono non vengono utilizzati al meglio, anzi risultano «un po’ bistrattati». Siamo «l’unico Paese del G7» in cui la quota di lavoratori laureati in posti con mansioni di routine è più alta di quella che fa capo ad attività non di routine. Anche per questo la produttività, «che per un ventennio ha avuto in Italia un andamento stagnante, permane a livelli non soddisfacenti», conclude l’Organizzazione.
Bassa domanda di competenze
Le competenze non risultano in linea con la mansione: fenomeno noto, in inglese, come «skills mismatch». I lavoratori con competenze in eccesso (11,7%) e sovra-qualificati (18%) rappresentano una parte sostanziale della forza lavoro italiana, maggiore di quella che, invece, si trova sotto il livello richiesto (il 6% risulta avere competenze basse rispetto al lavoro che fa e il 21 è sotto qualificato). Al paradosso si aggiunge la constatazione che «circa il 35% dei lavoratori è occupato in un settore non correlato ai propri studi». Quindi, in più di un caso su tre, percorsi d’istruzione e professionali non si parlano. E il basso livello di competenze fa sì che «il Paese incontri maggiori difficoltà degli altri nel far fronte alla globalizzazione, alla digitalizzazione e all’invecchiamento della popolazione».
Studenti del Sud un anno indietro
E, come se non bastasse, si sono scavati abissi nelle performance scolastiche: il divario ai risultati del test PISA (Program for International Student Assessment, un sistema per accertare le competenze dei quindicenni scolarizzati, ndr) tra gli studenti della Provincia autonoma di Bolzano e quelli della Campania equivale a più di un anno scolastico.
Donne sottoccupate
Pessima anche la condizione femminile: le donne scelgono spesso specializzazioni universitarie che «non sono molto richieste dal mercato del lavoro e che rendono loro difficile trovare un’occupazione dopo la laurea». E per tasso di occupazione femminile, l’Italia è al quartultimo posto nell’area dei 35 stati industrializzati. «Il dato preoccupante - si legge - è che molte donne non sono neanche alla ricerca di un posto di lavoro». Di più: le donne sono spesso percepite «come le principali assistenti familiari». Occorre invece favorire «un’organizzazione flessibile del lavoro, l’accesso ai servizi dell’infanzia a costi più contenuto, in modo da conciliare vita e lavoro» a vantaggio delle donne ma non solo. E per Gurria bisogna puntare sugli asili nido, che portano «benefici anche nelle capacità di apprendimento» dei ragazzi.
«Bassa domanda di talenti»
Bloccata in un «equilibrio di basse competenze», l’Italia; con, da una parte «offerta insufficiente», dall’altra una «fiacca domanda» che viene dal mercato, dalle imprese, ha commentato Gurria. Insomma, il Paese è come in un morsa e non promuove i «talenti». Uno «stallo» da cui il Governo sta cercando di uscire con piani come «Industria 4.0». Una riforma che l’organismo internazionale ha dimostrato di apprezzare, insieme alle altre introdotte dagli ultimi governi nel mercato del lavoro (2014, Jobs Act), nel sistema dell’istruzione (2015, La Buona Scuola) e dell’innovazione (2015, Piano Nazionale Scuola Digitale). Nel complesso, è il giudizio, «vanno nella direzione giusta»; ma «occorre andare avanti riguardo alla loro implementazione». Tra i suggerimenti dell’Ocse c’è anche l’invito a «spingere sull’alternanza scuola-lavoro, aumentare gli incentivi all’apprendistato, migliorare i livelli degli istituti tecnici superiori e i percorsi di istruzione professionale». E ad esporre i giovani italiani a servizi di orientamento che li aiutino a scegliere nella vasta gamma di possibili percorsi di formazione e carriera.
Le riforme
«La riforma del sistema educativo, l’accumulazione del capitale umano, è la strategia di gran lunga più efficace nel lungo termine per far crescere benessere, ricchezza e prodotto». Così il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. Che ha aggiunto: «Bisogna migliorare la qualità dell’insegnamento nel Paese e ridurre il divario esistente tra le diverse regioni», magari premiando i prof che restano dove ci sono più difficoltà».
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REPUBBLICA.IT
Mancano le competenze di base e avanzate e soltanto se l’Italia migliorerà in questo campo potrà in futuro prosperare e creare un ambiente più inclusivo. Si apre con questa considerazione il rapporto Ocse "Strategia per le competenze" per l’Italia, diffuso oggi dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico. Nelle 280 pagine del documento, redatto in due anni di lavoro, si sottolinea che "negli ultimi 15 anni i risultati economci dell’Italia sono stati lenti. Nonostante alcuni progressi nell’occupazione - premette l’Ocse - la crescita di produttività è stata stagnante". E a creare questa stagnazione è il deficit nelle competenze inadeguate per la competitività del mercato del lavoro.
"Solo il 20 per cento degli italiani tra i 25 e i 34 anni è laureato - sottolinea il rapporto - a fronte della media Ocse del 30 per cento". E non si tratta soltanto di avere meno laureati, perché chi ha un titolo di studio universitario in Italia ha "in media, un più basso tasso di competenze" in lettura e matematica (26° posto su 29 paesi Ocse). Meno preparati, ma anche male impiegati, visto che le analisi del capitolo 2 del rapporto descrivono le difficoltà dei laureati alle prese con la prima occupazione, che spesso non ha nulla a che vedere con la loro preparazione universitaria.
Si assiste così al paradosso per cui ci sono lavoratori che hanno competenze superiori ma hanno mansioni che ne richiedono meno (11,7 per cento) e sono sovra-qualificati (18 per cento), con una percentuale elevatissima (35 per cento) di lavoratori occupati in un settore non correlato ai propri studi.
A salvare i lavoratori la capacità, riconosciuta dal rapporto, di "rapidità d’apprendimento e problem solving", la vecchia arte d’arrangiarsi insomma, che fa dire all’Ocse che "in Italia, politiche mirate di istruzione e formazione della forza lavoro, che siano anche coordinate tra di loro, potrebbero favorire un miglior (più intensivo) uso delle competenze elevate sul posto di lavoro".
Il rapporto bacchetta sia le università, incapaci di collegarsi meglio con le esigenzxe del mondo del lavoro, sia le imprese, alle quali si imputa l’incapacità di usare pienamente ed efficacemente le competenze a loro disposizione e poco disposte a investire in tecnologie e pratiche di lavoro che migliorino la produttività.
L’Ocse spiega che tale dinamica è in parte spiegata dal modo in cui il lavoro viene progettato e concepito, e dal modo in cui le imprese sono gestite. In Italia, le imprese a gestione familiare rappresentano più dell’85 per cento del totale, e circa il 70 per cento dell’occupazione del paese. Ma è un circolo vizioso: anche "i manager delle imprese a gestione familiare spesso non hanno le competenze necessarie per adottare e gestire tecnologie nuove e complesse. Inoltre, il livello dei salari in Italia è spesso correlato all’età e all’esperienza del lavoratore piuttosto che alla performance individuale, caratteristica che disincentiva nei dipendenti un uso intensivo delle competenze sul posto di lavoro".
Il rapporto riconosce infine che l’Italia si sta impegnando ad attuare riforme che invertano la tendenza. Il Jobs act viene definito "una pietra miliare del processo di riforma", e vengono poi citate la Buona scuola, Industria 4.0, Garanzia Giovani e la legge Madia sulla P.a. In particolare della riforma dell’istruzione si evidenzia il piano per il digitale e l’Alternanza scuola lavoro.
Il report suggerisce infine che un contributo, per un’azione d’insieme, possa arrivare dalla Strategia nazionale della competenze dell’Italia, un progetto che il Governo italiano conduce in collaborazione con l’Ocse e il sostegno della Commissione Ue. In questo scenario l’organizzazione parigina "ha identificato 10 sfide" per promuovere le competenze, spingendo su una maggiore partecipazione di donne e giovani al lavoro, sulla formazione continua, sugli studi avanzati e sull’innovazione.
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LASTAMPA.IT
«Solo il 20% degli italiani tra i 25 e i 34 anni è laureato rispetto alla media Ocse del 30%». Così il rapporto Ocse sulla «Strategia per le competenze». Inoltre «gli italiani laureati hanno, in media, un più basso tasso di competenze» in lettura e matematica (26esimo posto su 29 paesi Ocse). Non solo, quelli che ci sono non vengono utilizzati al meglio, risultando un po’ “bistrattati”. L’Italia è «l’unico Paese del G7» in cui la quota di lavoratori laureati in posti con mansioni di routine è più alta di quella che fa capo ad attività non di routine.
In inglese il fenomeno è noto come “skills mismatch”, in italiano si potrebbe tradurre con “dialogo tra sordi”, dove i due potenziali interlocutori sono il lavoratore e il posto di lavoro. Insomma le competenze non risultano in linea con la mansione. Cosa da noi «molto diffusa», spiega l’Ocse in un dossier specifico sulla materia.