il Fatto Quotidiano, 5 ottobre 2017
Sallusti, che fare?
La campagna elettorale si annuncia avvincente e pure spiazzante. Almeno per le tante brave persone di centrosinistra che non si rassegnano alla berlusconizzazione del Pd. Neppure quando vedono sulla terrazza del Nazareno gli ex comunisti Giuliano Ferrara e Luciano Violante scambiarsi smancerie, fra uno strale contro la “Repubblica giudiziaria” e una lacrimuccia per l’immunità parlamentare perduta. Più che un convegno, una seduta spiritica alla ricerca del vecchio Pci. È a queste brave persone che rivolgiamo pensieri commossi appena compaiono in tv i replicanti renziani con la lista dei compagni perseguitati e poi assolti. L’altra sera a Dimartedì il povero Mario Lavia ci ha provato con Piercamillo Davigo, snocciolando il solito martirologio dei nuovi casi Tortora: “Ci sono innocenti messi alla gogna dai magistrati, sono anche caduti governi: Mastella, Del Turco, Tempa Rossa, Penati… come li risarcisce?”. Ne avesse azzeccata una. Anziché metter mano al portafogli per risarcire imputati che mai ha indagato, Davigo ha notato che Penati, nel primo dei suoi due processi, ha accettato una prescrizione (cui aveva giurato di rinunciare) per concussione, e solo nel secondo è stato assolto: più che risarcirlo, gli andrebbe domandato come pensi, accettando la prescrizione per un delitto così grave, di osservare “disciplina e onore” (art. 54 della Costituzione).
Se non l’avessero interrotto, Davigo avrebbe potuto aggiungere che: Del Turco è stato assolto in appello per associazione a delinquere, ma condannato a 3 anni e 10 mesi in Cassazione per induzione indebita (la vecchia concussione), dunque è lui che deve risarcire lo Stato, non viceversa; Mastella è stato assolto in uno dei due processi nati dall’indagine che nel 2008 lo portò alle dimissioni dal governo Prodi, mentre l’altro è in corso; quanto a Tempa Rossa, nessun politico o ministro è stato indagato né dunque prosciolto (lo è stato il fidanzato-lobbista della ministra Guidi, che le telefonava per spingere una norma pro petrolieri, ragion per cui non i pm, ma Renzi sollecitò e accettò le sue dimissioni: per le telefonate vere, non per inesistenti avvisi di garanzia). Lavia intanto aveva già cambiato discorso, copiando – senza neppure pagare i diritti – un altro refrain berlusconiano: “Nell’era del berlusconismo Davigo e il pool di Mani Pulite sono stati un soggetto politico, tant’è che alcuni di loro sono scesi in politica”. Altra solennissima fesseria: “Se certi magistrati si candidano – replicava Davigo – è perché qualcuno li candida”. E l’unico che candidò pm di Mani Pulite fu B. nel 1994.
Fece eleggere Tiziana Parenti, offrì la Giustizia a Davigo (che rifiutò la proposta di La Russa) e l’Interno a Di Pietro (che declinò l’offerta di B.). Altri pm di Mani Pulite candidati non ce ne furono: Di Pietro divenne ministro dell’Ulivo nel ’96 e senatore nel ’97, ma non era più pm dal ’94; D’Ambrosio fu senatore Ds nel 2006, quand’era in pensione da 4 anni. Fino all’altroieri queste scemenze le ripetevano a pappagallo B.&C.: ora, con scarsa fantasia, Renzi&C. Il che innervosisce non poco i berluscones, che si vedono levare il pane e le parole di bocca. E danno segni di nervosismo. Ieri il Giornale di Sallusti spiegava che a Torino la Procura non indaga la sindaca Chiara Appendino per omicidio colposo negli incidenti di piazza San Carlo (dove il 3 giugno morì una donna travolta dai tifosi, altre 1500 persone rimasero ferite) non perché non ci siano prove, ma per “cortesia istituzionale”. Ma era già stato preceduto da vari esponenti Pd, che attaccano da mesi la Procura perché non indaga la sindaca, ansiosi di fare i giustizialisti a targhe alterne, cioè di esibire in tv lo scalpo dell’Appendino in aggiunta alla solita lista Raggi-Nogarin-Quarto-Bagheria. E prima di Sallusti era arrivata anche l’edizione torinese di Repubblica, che l’altroieri accusava la Procura di “cortesia” verso la sindaca M5S, “prudenza istituzionale o mancanza di decisione o chissà cos’altro” e intimava di incriminare l’Appendino per soddisfare “la domanda di giustizia della città” (ieri il procuratore Armando Spataro – talmente “cortese” con le istituzioni da aver processato fior di potenti, inclusi decine di agenti della Cia e dei servizi italiani per il sequestro Abu Omar, mettendosi contro 5 o 6 governi – ha replicato che giustizia è indagare i responsabili dei reati in base alle prove, non i nemici dei giornaloni e dei partitoni senza prove).
Ora mettetevi nei panni di Sallusti: anticipato e plagiato su tutti i fronti dal Pd berlusconiano, tenta di recuperare terreno come può. Domenica con una bufala delle sue (“Quelle trame Davigo-Grillo per estromettere Berlusconi. Tre incontri con l’ex pm per ideare l’emendamento che vieta al Cavaliere di rimanere capo politico”: peccato che Grillo e Davigo non si siano mai incontrati). E ieri con un editoriale più renziano di Renzi: siccome Woodcock è stato scagionato a Roma dall’accusa di avere spifferato i segreti di Consip, resta colpevole per la “regìa di un’inchiesta con false intercettazioni”; e, se i pm romani chiedono di archiviarlo, è solo perché “cane non mangia cane”; e, se il Fatto chiede le scuse a chi ha infangato Woodcock senza uno straccio di prova, è perché è “socio” e “fedelissimo della procura napoletana”. Ora, il Fatto è talmente socio e fedelissimo di quella Procura da esserne stato perquisito per un’intera giornata. E nessun inquirente di Consip è accusato di “false intercettazioni” (tutte vere, come le trascrizioni): l’accusa di falso, ancora da provare, riguarda un nome scambiato nell’informativa del Noe su migliaia di pagine di telefonate. Ma Sallusti va capito: se i renziani diventano berlusconiani, non gli resta che fare il renziano. Che s’ha da fare per campare.