la Repubblica, 5 ottobre 2017
Luigi Nono, le carte di una vita d’artista fra Schönberg e Karl Marx
Nato a Venezia nel 1924 e morto a 66 anni nella sua città, Luigi Nono offre la propria immagine sulle pareti dell’Archivio che porta il suo nome, fondato per custodire il suo foltissimo lascito (vinili, partiture, nastri, epistolari, montagne di volumi, testi autografi). La sua bellezza fisica è esplicita. Sembra un attore del tempo in cui Hollywood amava i gentiluomini eleganti e fascinosi. Ma non è mai una bellezza abbandonata a sé stessa. Vi affiora lo slancio spirituale di un artista anomalo e discusso, che lavorò come un apostolo dell’assoluto. Credeva integralmente nella lotta per cambiare il mondo, anche o soprattutto tramite un’arte messaggera di pensiero e sentimenti d’eguaglianza. Indagava nella magica sospensione della voce, nell’errare inquieto dei suoni, nella tensione musicale verso l’infinitezza.
Lo spazio dell’Archivio Nono è la Sala delle Colonne nell’ex convento dei Santi Cosma e Damiano, che il Comune di Venezia ha assegnato al fondo. Il volto nobile di Gigi occupa tutte le bacheche. Ora è accanto a un giovane Pollini con occhialoni da primo della classe. Ora è con Abbado ragazzo, che sfoggia un taglio di capelli alla Beatles. Ora scherza con un buffo e tondo Bruno Maderna nel contesto leggendario di Darmstadt, punto d’incontro per i musicisti della generazione post-bellica, dove Nono poté intrecciare le sue esperienze con Edgar Varèse, Karlheinz Stockhausen, Pierre Boulez e John Cage. Ecco un lucente ritratto di Nuria, figlia di Arnold Schönberg e moglie di Gigi, il quale la conobbe nel ’54 ad Amburgo, in occasione della prima di Moses und Aron, uno dei capolavori del padre della dodecafonia. L’anno dopo si sposarono.
Poi sarebbero nate Silvia e Serena. La bella Nuria, nella foto giovanile, sta fumando la pipa con piglio da capitano.
«Oltre alla sua immensa biblioteca, conserviamo il patrimonio della musica di Gigi», spiega oggi la signora Nono. Capelli candidi, occhi celesti, indole felpata che ammanta un vigore combattivo, Nuria è la creatrice e la guida dell’Archivio, «comprensivo di trentamila manoscritti, tra studi per composizioni, carteggi con le massime figure artistiche e culturali del secolo scorso e testi di natura musicale, teorica e politica». Dagli schedari escono vasti fogli di lavori preparatori per le opere: pieni di appunti guizzanti, tracciati con pennarelli rossi, blu e arancioni, sembrano quadri di espressionismo astratto. Tra i modellini delle scene per le azioni teatrali (la favolosa struttura lignea che Renzo Piano costruì per il Prometeo nella chiesa di San Lorenzo, la maquette in bianco e nero con giochi sferici che Svoboda inventò per la messinscena alla Fenice di Intolleranza) emerge il simbolo della falce e del martello, specchio di una fede totalizzante.
«Abbiamo sempre vissuto alla Giudecca, il quartiere di Venezia con la più alta concentrazione di operai», racconta Nuria. «Poi tutte le fabbriche sono state chiuse». Nel dopoguerra, sull’isola del popolo in laguna, soffiava un vento di entusiasmo collettivo: «Era un periodo di ricostruzione in cui ci si batteva per i diritti civili, scolastici e sanitari: un clima di coinvolgimento durato fino agli anni Settanta». Dalla memoria di quell’eden di vitalità e idealismo è nato il Festival Luigi Nono alla Giudecca, che dal 5 al 9 ottobre semina una fitta mappa di concerti, mostre, film, spettacoli e tavole rotonde: «Il filo conduttore è sì la musica di Nono, ma lo sfondo viene illuminato dall’identità e dalla storia della Giudecca, le cui realtà, attive in ambito sociale e culturale, partecipano alla manifestazione». Per quattro giorni questa suggestiva fetta di Venezia si riempirà di accadimenti collegati all’opera di Nono. L’Archivio sarà il cuore del progetto, restando aperto a visite guidate. Il programma propone un incontro con Massimo Cacciari, amico e complice di Nono, sulla «Nostalgia del futuro»; un concerto di Gerhard Krammer ispirato al Prometeo; un’azione sonora e performativa ospitata dal Cantiere Navale Gruppo Faldis; un reading di Hanif Kureishi sull’intolleranza; una rilettura esecutiva, tecnologicamente ardita, di un pezzo anni Sessanta ( A floresta é jovem e cheja de vida), in cui Nono riversò le sue ricerche sulla spazializzazione del suono; un evento basato sui testi di un’altra azione scenica di Nono, Al gran sole carico d’amore, con parole di Brecht, Fidel Castro, Che Guevara, Marx, Lenin, Gramsci… L’idea ha preso il via dal documentario I film di famiglia, che una figlia di Nono, la pittrice e regista Serena, ha ricavato da vecchi filmini familiari (sarà proiettato domenica). «È un collage di materiali inediti e privati», riferisce Nuria, «dove può succedere che la voce di Gigi parli di politica e s’intrecci alle riprese di lui che gioca con le bimbe. Poi si vedono i festival dell’Unità alla Giudecca e i nostri viaggi nel mondo, dall’Urss all’America Latina». Amico di Togliatti e Berlinguer (e poi di Ungaretti, Calvino, Burri, Vedova), Nono inseguiva l’utopia non solo conversando e giocando a carte con gli operai della Giudecca, ma esplorando i paesaggi del pianeta sospinto dal bisogno di comunicare. Non pochi accusarono di protervia la sua ostinata militanza comunista. «Sostenevano che Gigi facesse il sapiente andando nelle fabbriche a impartire lezioni: invece lui voleva solo ascoltare», protesta la moglie. «La sua vita è stata una disposizione all’ascolto».