la Repubblica, 5 ottobre 2017
Dossier falsi e accuse. La guerra del glifosato è all’ultimo round
ROMA È una battaglia che vale miliardi. Al centro c’è il glifosato, l’erbicida più usato del mondo: 8,6 miliardi di chili sparsi da quando fu introdotto, nel 1974, e i sospetti che i rischi per la salute siano maggiori di quanto dichiarato. I dipendenti della Monsanto, la principale azienda produttrice, come rivela Le Monde «scrivevano studi firmati da ricercatori apparentemente indipendenti, ma che in realtà ricevevano un compenso».
Il 31 dicembre, però, per il glifosato tutto potrebbe finire. Almeno in Europa. L’autorizzazione a usare il controverso prodotto chimico sta infatti per scadere. Se i 28 paesi membri non decideranno di rinnovarla, dalla fine del 2018 scatterà il divieto totale (un anno è concesso per consumare le scorte). Le perdite stimate in termini di mancata produzione per i contadini e di mancate vendite per le aziende chimiche si calcolano attorno ai 2-3 miliardi di euro all’anno. È naturale, quindi, che la battaglia si conduca su molti fronti, senza esclusione di colpi.
C’è Bruxelles, innanzi tutto. La Commissione ha proposto ai paesi membri di rinnovare l’autorizzazione per altri 10 anni. Ma sentendo aria di bocciatura, ha rimandato il voto fissato per il 5 e 6 ottobre. La Francia ha deciso di votare contro. È disposta al massimo a chiedere una riduzione graduale, che sfoci in un divieto totale nell’arco di 5 o 7 anni. A poco è servita la grande protesta dei contadini che il 22 settembre hanno bloccato gli Champs Elysées. Sempre in Francia, una famiglia di Isère (sud-est del paese) ha annunciato una denuncia nei confronti dei produttori per aver causato la malformazione alla gola del figlio di 10 anni. All’inizio della gravidanza la madre avrebbe inalato glifosato nella fattoria di famiglia senza essere stata (sostiene) adeguatamente informata del rischio di mutazioni del Dna del feto.
La Germania, che nei passati tentativi di voto si è astenuta, non ha ancora un governo e nemmeno una posizione chiara da portare a Bruxelles. L’Italia, con un tweet del ministro dell’agricoltura Maurizio Martina, martedì si è detta contraria al rinnovo. Sulla stessa posizione c’è l’Austria. La maggioranza qualificata per una nuova autorizzazione appare lontana.
Un secondo campo di battaglia è quello della scienza. A marzo 2015 la Iarc (l’agenzia dell’Oms per la ricerca sul cancro) qualifica il glifosato come “probabilmente cancerogeno”. Pochi mesi dopo, a novembre, l’Efsa, l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare, ribalta il verdetto. L’European Chemicals Agency, chiamata a sciogliere il dilemma, a marzo 2017 prende le parti dell’Efsa.
Ma è proprio qui che arriva la più feroce fra le battaglie del glifosato. Una guerra sporca che si combatte in Europa ma anche negli Stati Uniti. In particolare nel tribunale di San Francisco, dove si discute il caso di centinaia di malati di linfoma non Hodgkin per i quali si sospetta che il glifosato abbia giocato un ruolo. I loro avvocati hanno ottenuto la pubblicazione di centinaia di documenti interni che comproverebbero test sulla sicurezza inaccurati da parte delle ditte produttrici e sospetti di collusione con le autorità regolatrici, in primis l’Environmental Protection Agency statunitense. Sono i cosiddetti “Monsanto Papers”, raccolti sul sito U. S. Right to Know. Il Guardian ha rivelato poi che decine di pagine del rapporto Efsa secondo cui il glifosato non è cancerogeno erano copiate da paper interni della Monsanto. Il Parlamento Europeo, in vista del voto, ha chiesto di vederci chiaro, convocando i rappresentanti dell’azienda di St. Louis per l’11 ottobre. Alla risposta negativa della Monsanto, l’assemblea di Bruxelles ne ha espulso i rappresentanti dalle sue sedi. I dipendenti dell’azienda non potranno entrare nel Parlamento, parlare con i deputati, accedere al database informatico. In una parola, avranno il divieto di lobbying.