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 2017  ottobre 05 Giovedì calendario

L’amaca

Spira un’arietta antica, a sinistra, e familiare: come quando dai cassetti delle zie sbucano le vecchie cartoline di Rapallo, e l’odore di cipria un po’ rappresa, e quei fermagli per capelli che prima o poi torneranno di moda. Ah la scissione, ah la lite ferale, ah l’acre incomprensione, ah la goffa mediazione, ah il governo che collassa: ci vorrebbe Guido Gozzano per farci memoria di quanto, della nostra lunga storia, queste care abitudini siano oramai la tappezzeria. “L’amaro eppure dolce detestarci / con qualche tweet, qualche parola ostile / uguali a quando, per prenderci e lasciarci / bastavano l’inchiostro e il ciclostile”.
Si digitano nomi antichi (Turigliatto, il professor Maitan) per rivivere precedenti crolli, e incallite inimicizie, per stabilire se fu nel 2008, o prima, o dopo, che le precarie architetture escogitate per tenere insieme, mettiamo, gli ex democristiani e gli ammiratori di Pol Pot, non ressero. E si interroga il web su quella volta che la componente entrista uscì, e quella fuorista entrò. Ci si dovrebbe preoccupare, ma l’abitudine ha la meglio: ci si riconosce, ci si intenerisce. Per la statistica, questa è l’Amaca numero cinquecento dedicata allo stesso argomento dal 1992 a oggi: la sinistra che sfascia se stessa. Merito un premio, non so se il Premio Noia o il Premio Fedeltà.