Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2017  ottobre 05 Giovedì calendario

Stangata ad Amazon. Ma l’Europa vincerà la battaglia delle tasse con i giganti del web?

La Commissione europea ha chiesto al Lussemburgo di recuperare 250 milioni di euro di tasse non versate da Amazon, la grande azienda statunitense di e-commerce. Nel contempo, ha deciso di trascinare davanti alla Corte europea di giustizia il governo irlandese per non avere ancora recuperato i 13 miliardi di euro di imposte dovute da Apple. Due vicende di aiuti di Stato illegittimi, triangolazioni finanziarie, tax ruling…

• Piano, usa parole troppo complicate. Partiamo dal caso di Amazon. 
La decisione arriva alla fine di un’indagine iniziata tre anni fa. Dal 2003 al 2014 Amazon avrebbe goduto di un generoso accordo fiscale con il Lussemburgo. Ieri la commissaria europea per la Concorrenza, la brizzolata Margrethe Vestager, è giunta alla conclusione che quei regimi «sono contrari alle regole comunitarie sugli aiuti di Stati». Sarebbe a dire che il Granducato deve recuperare 250 milioni di euro di tasse non versate dal colosso americano «più interessi» non ancora specificati. La società americana ha respinto l’addebito, spiegando che valuterà la possibilità di fare appello. 


• Ma come ha fatto Amazon a non pagare tutti questi soldi?
Grazie all’accordo fiscale contestato, Amazon ha trasferito la maggior parte dei suoi utili dalla Amazon Eu, una società del gruppo soggetta a tassazione in Lussemburgo, a un’altra società che non lo è (Amazon Europe Holding Technologies). Quest’operazione ha ridotto di tre quarti gli utili tassati di Amazon Eu. Le faccio notare anche che all’epoca dei fatti il primo ministro del Granducato era Jean-Claude Juncker, l’attuale presidente della Commissione europea. Ma il Lussemburgo non è l’unico paese membro dell’Ue ad aver offerto accordi che prevedevano aiuti di Stato a grandi aziende internazionali. Da questo tipo di accordi le aziende ottengono una sede in Europa beneficiando di una tassazione più bassa di quella prevista dalle regole dell’Unione, mentre i paesi che li propongono ottengono investimenti stranieri sul loro territorio. Bruxelles è già intervenuto sui casi di Starbucks in Olanda, di Fiat e Amazon in Lussemburgo e di 35 di società in Belgio. Ancora aperto il caso di McDonald’s sempre in Lussemburgo. Il precedente più noto, però, è quello che ha coinvolto Apple e l’Irlanda.


• Ecco, perché il governo irlandese non ha ancora recuperato i soldi da Apple? 
Il tema è molto delicato per Dublino: il governo ha paura di mettere a rischio il rapporto con le molte multinazionali che hanno sede sul suo territorio. Ma le ricordo la vicenda in breve: nell’agosto dell’anno scorso, la Commissione europea aveva denunciato l’esistenza di un accordo fiscale tra Dublino e Apple, chiedendo alla società americana, di versare all’Irlanda mancato gettito fiscale per 13 miliardi di euro. «Le regole prevedono che il governo abbia quattro mesi per adempiere alla decisione comunitaria – ha detto la signora Vestager –. A oggi, il governo irlandese non ha recuperato il denaro, e neppure parte del denaro. Finché non lo recupera, Apple continuerà ad avere un vantaggio sugli altri. Ci rendiamo conto che la questione è complicata ma ci aspettiamo da parte dei paesi sufficienti progressi». L’esecutivo irlandese si è detto «estremamente deluso» dalla decisione di Bruxelles perché si sta già impegnando a recuperare i soldi. 


• Mi sembra di capire che tutti questi colossi del web sono molto bravi a risparmiare sulle tasse.
Come ha ricordato di recente Milena Gabanelli sul Corriere della Sera, un rapporto del Parlamento europeo ha calcolato che i paesi membri tra il 2013 e il 2015 hanno perso gettito per 5,4 miliardi di euro solo per i mancati versamenti da parte di Google e Facebook. I ministri delle finanze comunitari si stanno scervellando da tempo per capire come costringere Google & Co. a pagare le tasse come fanno tutti i comuni mortali. Per ora si sono messi d’accordo solo sul titolo della discussione: web tax. Il ministro delle Finanze dell’Estonia ha proposto di valutare la tassa sulla base del numero di clienti residenti in quel paese e che utilizzano quel servizio, non una cattiva idea visto che è il solo dato certo. Al momento l’orientamento sembra però essere quello di mettere un’imposta fissa sul fatturato, cioè sul dato più misterioso.


• E l’Italia su questo fronte come si muove? 
Il nostro in realtà è il primo paese al mondo ad aver costretto Google a patteggiare e pagare 306 milioni di euro per gli utili prodotti in Italia dal 2002 al 2015. Un risultato straordinario vista la tendenza generale, ma si tratta comunque di noccioline.