Affari&Finanza, 2 ottobre 2017
Piccoli e sfruttati 152 milioni nel mondo
Bambini invisibili, infanzia negata. Sono 152 milioni i piccoli tra i 5 e i 14 anni che lavorano nel mondo. Più di 72 milioni vivono in Africa, 62 in Asia e nel Pacifico, oltre 5 in Europa e Asia centrale, più di un milione negli Stati arabi, secondo l’ultimo rapporto Ilo, organizzazione internazionale del lavoro, presentato nei giorni scorsi all’Onu. Il lavoro minorile esiste anche in Italia: sarebbero coinvolti in 340mila, nei calcoli di Save the Children, se non 400mila, secondo le stime Cgil. Il picco è tra gli adolescenti e si registra nell’età di passaggio tra la scuola media le superiori, determinando uno dei tassi di dispersione scolastica più elevati d’Europa, oltre il 18%. Il baby-sfruttamento è un problema secolare, in ogni angolo del globo. Celebri i versi di William Blake sui mini spazzacamini inglesi, come pure furono una pietra miliare le analisi del filosofo Bertrand Russell sulle condizioni di vita dei piccoli operai del paese. Da noi la questione entrò nel dibattito politico dell’Italia post-unitaria, specie dopo che Sidney Sonnino e Leopoldo Franchetti sollevarono il caso dei “carusi” siciliani, impiegati nelle zolfatare da 7 anni in su: «Portavano sulla schiena – scrivevano nell’Inchiesta in Sicilia – il carico dei minerali il cui peso variava a seconda dell’età, ma sempre molto superiore a quanto potesse una creatura in tenera età, senza grave danno alla salute e senza il rischio di storpiarsi». I minori di oggi- avverte l’Ilo – conoscono le miniere della Tanzania, le piantagioni di tè in Zimbawe, le fabbriche in India e in Cambogia, l’accattonaggio a Dakar come pure il lavoro domestico, soprattutto femminile, che per la sua opacità sfugge alle statistiche internazionali. Dei 152 milioni, il 70% lavora in agricoltura, il 17 nei servizi e il resto nell’industria.