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 2017  ottobre 02 Lunedì calendario

Russia, cura sovietica per la crisi bancaria

Quando, nel giugno 2013 Vladimir Putin nominò la fedelissima Elvira Nabiullina a capo della Banca centrale russa, le diede un chiaro mandato: ripulire il sistema bancario. Il settore era notoriamente saturato e frammentato da oltre un migliaio di piccoli istituti instabili, reliquie dei selvaggi anni Novanta. Lo Stato ne aveva già eliminati centinaia dopo la grande recessione iniziata nel 2007. Ma non era abbastanza. Da quando si è insediata nel prestigioso ufficio in Neglinnaja Ulitsa, Nabiullina ha lanciato una vera e propria crociata revocando la licenza a oltre 300 cosiddetti istituti di credito “kamikaze” o “lavanderia”: banche con crediti inesigibili e capitale inadeguato o velati centri di riciclaggio di denaro per uomini d’affari. Da circa 900, in tre anni, le banche si sono ridotte a poco più di 500. Un pugno duro che però sta facendo scivolare il sistema verso il monopolio statale. Rischio accentuatosi nell’ultimo mese. Nell’arco di tre settimane la governatrice 53enne ha infatti nazionalizzato due banche sull’orlo del fallimento: Otkritie e Binbank (nota in inglese come B&N Bank), rispettivamente settimo e dodicesimo istituto privato per patrimonio secondo una classifica stilata per Interfax dal Centro per le analisti economiche. Una misura necessaria, a detta della Banca centrale, per scongiurare un “effetto domino”. Ma che solleva molte domande. Non solo sulla stabilità del settore, ma sulle stesse responsabilità dell’istituto regolatore. Sconosciute fino a pochi anni fa, sia Otkritie che Binbank erano cresciute enormemente a colpi di acquisizioni oggi definite “aggressive” dalla stessa Banca centrale: salvavano banche più piccole e precarie grazie ai finanziamenti agevolati statali nell’ambito del cosiddetto “programma di riabilitazione finanziario” promosso proprio dalla Banca centrale. Una strategia concepita tre anni fa quando il crollo del prezzo del petrolio, principale fonte di entrata in valuta estera, e le sanzioni occidentali in risposta alla crisi in Ucraina avevano fatto crollare il valore del rublo precipitando il Paese nella recessione, proprio mentre il sistema bancario faceva ancora i conti con i crediti inesigibili eredità della crisi del 2007. Con i colossi finanziari vincolati dalle sanzioni, un nugolo di banche private non legate direttamente al Cremlino era comparso a riempire il vuoto. Otkritie, che in russo significa “aperta”, una volta chiamata Shchit Bank, o Shield Bank, era stata rilevata nel 2006 da Vadim Beljaev, “finanziere per caso” come ama definirsi, e Boris Minz, amico di Anatolij Chubajs, l’architetto delle privatizzazioni negli anni Novanta. L’ascesa è iniziata alla fine del 2014 in quello che Sberbank ha poi chiamato il “dicembre nero”, quando il rublo era in caduta vertiginosa verso minimi record. Otkritie lanciò una transazione che la catapultò tra i “Big” dall’oggi al domani aiutando Rosneft a evitare il default: usò un trilione di rubli in Eurobond emessi dalla compagnia petrolifera come garanzia per ottenere un prestito dalla Banca centrale che poi riprestò all’azienda sanzionata per saldare il debito. La mossa causò un altro tonfo del rublo e un’altra corsa agli sportelli costringendo la Banca centrale ad alzare i tassi di interesse per calmare i mercati, mentre Otkritie raddoppiava il suo patrimonio. Da lì la volata: il salvataggio di vari istituti tra cui il National Bank Trust, la più grande vittima della crisi all’epoca, e l’acquisizione del più grande istituto assicurativo Rosgosstrakh e persino di una miniera di diamanti. Transazioni tutte approvate dalla Banca centrale. Tramite il fondo d’investimento Odef, Otkritie è diventata anche azionista di riferimento dell’italiana Tiscali. E ha sborsato 33 milioni di euro per dare il nome a uno dei due stadi di Mosca che ospiteranno i Mondiali 2018. Due anni fa è stata definita “di valore sistemico”, ossia “too big to fail”, con il rischio, in caso di default, di produrre conseguenze negative a cascata su tutto il sistema economico e finanziario. Finché lo scorso luglio un basso rating del credito e il collasso della banca Yugra non hanno messo in moto la caduta portando a una fuga di depositi tra giugno e agosto per 693 miliardi di rubli, oltre 10 miliardi di euro. Perciò il 29 agosto è intervenuta la Banca centrale. Otkritie è così diventato il primo istituto a essere acquisito dal Fondo per il consolidamento del settore bancario. Con il 75% del capitale, la Banca centrale è il primo investitore e ha preso in mano le redini operative nominando Mikhail Zadornov nuovo direttore esecutivo. Un bail-out stimato intorno ai 5,9 miliardi di euro. Se il salvataggio andrà a buon fine, il capitale resterà allo Stato finché non verrà trovato un compratore. L’operazione è stata ripetuta tre settimane dopo con Binbank, di cui Mikhail Gutseriev e Mikhail Shishkhanov erano i principali azionisti. Dopo il collasso di Otkritie, i clienti avevano ritirato 56 miliardi di rubli, 820 milioni di euro, per paura di un contagio. Si stima che l’operazione in questo caso costerà tra 3,6 e 5,1 miliardi di euro. La Banca centrale sostiene che il doppio salvataggio abbia evitato l’effetto domino, ma molti temono che altre tessere possano presto cadere. Un consigliere d’investimenti di Alfa Capital a inizio estate aveva allertato i suoi clienti sulla possibilità che Otkritie, BinBank, Credit Bank (nono istituto per asset) e Promsvyazbank (decimo) fossero i futuri obiettivi dell’opera di pulizia della Banca centrale. Le stesse quattro banche che l’agenzia Fitch temeva potessero avere problemi di liquidità in una nota del 18 agosto. Previsioni e timori che ora vengono presi sul serio. La strategia dell’organo regolatore di affidarsi alle banche commerciali per salvare istituti di credito in difficoltà è ora sotto esame. Il punto, secondo Serghej Aleksashenko, ex vice governatore della Banca centrale, è che «non puoi costruire una buona banca da dieci banche cattive». Soprattutto si teme che nazionalizzare Otkritie e BinBank cementerà una monopolizzazione statale del settore bancario già iniziata con le purghe, riducendo la concorrenza e rafforzando il modello del capitalismo di Stato che ha preso piede sotto Putin. Oggi circa due terzi degli attivi bancari sono nelle mani dello Stato, il doppio rispetto a un decennio fa. Una quota che potrebbe ulteriormente aumentare. Il consolidamento in corso sta accelerando la cosiddetta “rincorsa della qua-lità”: correntisti nervosi si spostano sugli istituti statali che appaiono più solidi. La conclusione su “Rbk” di Andrej Movchan, ex consulente finanziario oggi analista del Carnegie Moscow Center, è amara: «Si può dire che non c’è più un sistema bancario privato».