La Stampa, 4 ottobre 2017
Nel Paese dominato dalla cultura delle pistole. L’autodifesa nasce dal testo della Costituzione
Commentando la strage di Las Vegas, il giornalista conservatore Bill O’Reilly ha detto che «questo è il prezzo della libertà». L’ex consigliere di Trump, Steve Bannon, ha invece intimato al presidente di non azzardarsi a toccare il Secondo emendamento della Costituzione, quello che garantisce il diritto dei cittadini ad avere le armi, perché «sarebbe la fine di tutto». Bisogna partire da queste frasi, per quanto possano sembrare assurde, se vogliamo capire perché gli americani sono così ossessionati dalle armi, e perché sarà molto difficile cambiarli.
Nel 1970, cioè subito dopo gli omicidi di John Kennedy, suo fratello Robert e Martin Luther King, lo storico della Columbia University Richard Hofstadter pubblicò su «American Heritage» un articolo che rimane profetico ancora oggi. Si intitolava «America As A Gun Culture», e per la prima volta introduceva il concetto degli Usa come Paese dominato dalla cultura delle armi. Hofstadter ne individuava la radice nella nascita della nazione, ma come prodotto della politica liberale. Il Secondo Emendamento della Costituzione, infatti, aveva incardinato il diritto dei cittadini ad armarsi nella necessità di poter costituire milizie per difendere il Paese. Nell’immediato, questo paragrafo rifletteva il timore che Londra cercasse di riconquistare l’ex colonia con la forza, e ormai si tratta di una paura chiaramente anacronistica. Nel lungo termine, però, puntava a garantire i diritti individuali delle persone, difendere la democrazia, e prevenire la tirannia. Secondo la cultura progressista del tempo, infatti, gli eserciti venivano usati dai regimi per reprimere i cittadini, mentre le milizie popolari come quella americana difendevano la loro libertà. Così va inteso il commento di O’Reilly, che l’ex candidata alla vice presidenza Sarah Palin aveva spinto anche nel divino, sostenendo che «Gesù si batterebbe per il nostro Secondo Emendamento». Ormai i liberal non condividono più questa idea, e la regina Elisabetta non medita la riconquista militare degli Usa, ma i conservatori, i repubblicani, e anche una parte dei democratici le restano legati. Bibbia, costituzione, e fucile.
Passata la rivoluzione, la cultura delle armi è stata riaffermata dalla Frontiera. Nel Far West la legge era un’opinione, e i cittadini onesti ritenevano di avere diritto a pistole e fucili per proteggersi da soli. «Tutti gli americani – notava Hofstadter – hanno sognato almeno una volta nella vita di essere Gary Cooper in “Mezzogiorno di fuoco”». Oggi ci sono le agenzie federali come l’Fbi e le polizie locali a garantire il rispetto della legge, ma in molte regioni la diffidenza verso l’autorità e l’efficienza dello Stato resta invincibile. Poi c’erano gli indiani, che adesso vengono visti come vittime della colonizzazione, ma allora erano il nemico selvaggio da cui bisognava difendersi come John Wayne.
Un terzo elemento che aveva creato la cultura delle armi era il razzismo, in particolare nel Sud, dove resta molto forte. All’epoca della schiavitù, portare la pistola era un privilegio riservato ai bianchi. Questa è la ragione per cui i bianchi del Sud ancora lo rivendicano, mentre i neri delle grandi città lo usurpano, per dimostrare con le armi in pugno di non essere più servi. Un fenomeno che si lega anche alla volontà dei cittadini di avere i fucili in casa per difendersi dalla criminalità, associata soprattutto ai neri, ma pratica anche dai bianchi.
Nella cultura popolare, poi, le armi hanno un posto quasi mitico. Per molti ragazzi delle regioni rurali ricevere il primo fucile significa diventare uomini, mentre film come «Taxi Driver» o «Il Cacciatore» hanno esaltato il potere salvifico di questi strumenti, quando stanno nelle mani giuste. Non a caso, infatti, dopo la strage di Sandy Hook la lobby dei produttori Nra aveva detto che il problema non erano troppe armi, ma troppo poche: se i professori le avessero avute, avrebbero ucciso il killer e protetto i loro bambini. Tutto questo spiega l’avvertimento insieme culturale, politico ed elettorale, lanciato da Bannon a Trump: non toccare il Secondo Emendamento, o sei finito.