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 2017  ottobre 03 Martedì calendario

Contratti, sterlina e petrolio: tre mine per i vettori aerei low cost

Più di centomila passeggeri rimasti a terra e 750mila voli cancellati. Il fallimento della compagnia aerea Monarch Airlines e del suo tour operator rappresenta un caso senza precedenti per il settore aeronautico britannico. Dopo il caso di Ryanair che ha cancellato 20mila voli in tutta Europa per la fuoriuscita dei piloti, il modello low cost sembra avere terminato la sua corsa inarrestabile. Tariffe troppo basse, lievitazione dei costi e avvio di una nuova fase di consolidamento stanno trasformando il settore aeronautico europeo. Dal canto loro, le compagnie tradizionali stanno recuperando terreno, con politiche che puntano sull’efficienza e il taglio dei costi, premiate dalla Borsa: dall’inizio dell’anno il titolo Lufthansa è salito del 98%, Air France Klm del 163% e British Airways del 38 per cento.
Su Monarch pesa la Brexit
Quinto vettore, con 2100 dipendenti, 40 destinazioni dai principali aeroporti britannici (Luton, Gatwich, Manchester, Leeds, Birmingham), Monarch Airlines fondata nel 1968, era già stata salvata lo scorso anno dal fondo di private equity, GreyBull che aveva iniettato 125 milioni di sterline per rilevare il 90% della società, una scommessa che si è rivelata perdente. Gli attacchi terroristici in Egitto, Tunisia e Turchia dello scorso anno avevano già compromesso il vettore low cost specializzato nelle destinazioni turistiche del Mediterraneo. Non poteva mancare la Brexit a contribuire al collasso con la sterlina indebolita nei confronti delle principali valute quelle stesse con cui vengono pagati carburante e i servizi di handling negli aeroporti esteri, tutti ingredienti che contribuiscono a fare lievitare i costi.
Il nodo delle tariffe
Nel caso di Monarch Airlines, a nulla è servito trasportare più passeggeri se le tariffe sono troppo basse per coprire i costi. Il problema sta affliggendo tutto il settore aeronautico europeo che si trova a confrontarsi con una offerta eccessiva che inevitabilmente riduce il prezzo dei biglietti aerei. Non è un caso che ieri in Borsa la notizia del fallimento del vettore ha fatto scattare i titoli dei principali vettori (easyJet +5,3% BA +2,4, Jet2.com +8,3%, Ryanair 3,6%) sull’ipotesi che i concorrenti potranno avvantaggiarsi delle disgrazie altrui.
A venire allo scoperto è stata British Airways che ha dichiarato di essere interessata a parti del vettore, mentre Virgin Atlantic ha avviato le procedure per l’assunzione di una quarantina di piloti su 600. Anche Ryanair potrebbe essere interessata ad assumere parte dei piloti di Monarch Airlines. Mentre EasyJet con la sua base all’aeroporto londinese di Luton, la stessa di Monarch Airlines, è vista come il porto naturale degli slot.
Settore in consolidamento
Per sintetizzare quanto sta succedendo, l’analista di Cantor Fitzgerald parla di «consolidamento del settore del corto raggio in Europa» al termine del quale cinque-sei vettori domineranno il mercato. Gli analisti hanno rivisto le previsioni di crescita del corto raggio al 3,2% per la stagione invernale rispetto al precedente 7,3%. Non è un caso che molte compagnie low cost stiano puntando sulle rotte a lungo raggio per aumentare la profittabilità e compensare l’aumento dei costi dal carburante al personale alla valuta.
Recuperano i vettori tradizionali
Nel caso di Ryanair che oggi vanta l’incidenza più bassa sul fatturato dei costi dello staff, la compagnia ha promesso bonus e nuovi contratti di lavoro ai piloti per evitare la loro fuoriuscita, voci che faranno inevitabilmente lievitare i costi. Dal canto loro, le leading companies stanno recuperando terreno e tra il 2012 e il 2016 hanno ridotto i costi (escluso il carburante ) del 7,1%, voce che per le compagnie low cost, invece, è aumentata del 2,9, secondo uno studio di Alixpartners. I processi di ristrutturazione degli ultimi hanno consentito di ridurre il costo del lavoro dell’8%, mentre le low cost non sono andate oltre il 2,5%. Ora sono pronte a scrivere un nuovo capitolo dell’aviazione europea.
Mara Monti
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Oggi la compagnia aerea “tradizionale” si ritrova in crisi a causa della concorrente low cost che paga meno i dipendenti e riesce a praticare, per questo, prezzi più aggressivi alla clientela. Domani la manodopera qualificata della low cost si guarderà intorno a caccia di migliori opportunità lavorative, lasciando di fatto “a terra” i passeggeri che avevano già in tasca il biglietto.
È il trasporto aereo nell’epoca della concorrenza sul prezzo, tempi in cui si vola senza dubbio “democraticamente” (fino a qualche anno fa a spostarsi per i cieli erano soprattutto i big spender), ma tenere in piedi un vettore significa sforbiciare di continuo le voci di costo dai bilanci. Con un’attenzione particolare al costo del lavoro «e una tendenza – secondo Fabrizio Cuscito del dipartimento nazionale trasporto aereo di Filt Cgil – alla deregulation selvaggia». Della serie: contratti e regolamenti cui far riferimento non mancano, ma non tutte i vettori li rispettano. A cominciare dal contratto nazionale di categoria che interessa una platea potenziale di oltre 55mila lavoratori tra personale di volo e di terra, scaduto a fine 2016 e a breve di nuovo oggetto di trattative tra sindacati e parti datoriali. «Un contratto – sottolinea Cuscito – riguardante essenzialmente l’universo di Alitalia». Tra i vettori storici, Meridiana ha un contratto aziendale, rinnovato soltanto l’anno scorso dopo un percorso condiviso con le sigle. Il resto del mercato è piuttosto disomogeneo. C’è innanzitutto il caso di Ryanair, vettore importante nei numeri che non aderisce al ccnl di categoria e non ha neanche un accordo aziendale cui far riferimento. Le intese che stringe con i dipendenti hanno carattere individuale. E c’è anche ricorso a manodopera prestata da agenzie del lavoro.
«La gig economy – secondo Cuscito – applicata ai trasposti aerei, con tutte le conseguenze del caso sul piano dei diritti dei lavoratori e del fisco, perché pilotare un aereo non è svolgere un lavoretto occasionale. In Ryanair – continua l’esponente di Filt – non abbiamo il riconoscimento della contrattazione e del ruolo stesso del sindacato». Non tutte le low cost, in ogni caso, praticano la deregulation spinta. Easyjet e Norwegian, per esempio, applicano contratti aziendali ai loro dipendenti, sottoscritti con le rappresentanze sindacali. Le spagnole Volotea e Vueling sul versante contrattualistico hanno invece un modello molto più simile a quello di Ryanair, «non c’è il riconoscimento del ruolo del sindacato – spiega Emilio Fiorentino, segretario nazionale di Fit Cisl – ma il caso fa meno clamore rispetto a quello della compagnia irlandese, perché parliamo di società giovani e ancora poco rappresentative in italia in termini di peso specifico. Anche in questi casi abbiamo provato a proporci come interlocutori ma, almeno per il momento, senza esiti».
Completano il quadro vettori di piccole dimensioni non low cost, come Blue Panorama, Mistral e Air Dolomiti. Le ultime due hanno contratti aziendali cui far riferimento. In Blue Panorama si osserva uno stop alla fase negoziale, per consentire alla società di rilanciarsi dopo alterne vicende. «La situazione del mercato italiano – commenta Ivan Viglietti, coordinatore del personale di volo per Uiltrasporti – è estremamente complessa. Occorrerebbero linee guida europee sugli standard contrattuali o almeno un lavoro delle istituzioni italiane a tutela dei diritti della manodopera locale». E invece ci si muove in ordine sparso.
Francesco Prisco
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La crisi dei piloti ha fatto perdere in un mese oltre il 6% al titolo Ryanair. In termini di capitalizzazione il ribasso equivale a circa due miliardi di euro. Potrebbe sembrare tanto. Eppure non lo è se se invece dei prezzi si guardano i multipli di Borsa, cioè quegli indicatori che, rapportando le quotazioni a indicatori di bilancio e conto economico, ci dicono quanto il mercato valuta il titolo.
L’enterprise value di Ryanair è pari a 19,4 miliardi di euro. Una cifra che equivale a 2,8 volte il fatturato. Una valorizzazione che non si avvicina neppure lontanamente a quella delle concorrenti. Easyjet, per citare il rivale più diretto, vale in Borsa il 90% di quanto fattura. Lufthansa, la principale compagnia di bandiera in Europa, appena il 40% dei ricavi. Ryanair vale oggi 4,62 volte il suo patrimonio. Più del doppio di Easyjet e tre volte Lufthansa. Per trovare multipli simili bisogna andare a prendere le società del lusso. Luxottica, per citare la principale azienda italiana del comparto, ha gli stessi numeri di Ryanair in termini di rapporto tra capitalizzazione, patrimonio o ricavi. D’altronde, quanto a marginalità, la compagnia irlandese riesce a fare i numeri di un’azienda del lusso. Il net income margin, cioè la quota di fatturato che si trasforma in utile, è pari al 20%. Su 100 euro di ricavi 20 sono profitti puliti contro i 5 della diretta concorrente Easyjet. Peccato che per arrivare a questi numeri debba adottare politiche di retribuzione del personale assai discutibili. Tirando forse troppo la corda come testimonia la crisi di questi giorni e la cancellazione dei voli.
Quale impatto avrà la crisi dei piloti sui conti della società? Numeri certi si vedranno nei conti del terzo e quarto trimestre dell’anno. Ma il mercato per il momento pare muoversi con molta prudenza. Gli analisti hanno tagliato le stime sul titolo ma non in maniera drammatica. Oggi il consensus degli analisti di S&P Market Intelligence fissa il prezzo obiettivo a 19,73 euro per azione. Prima della crisi era a 20,03. Evidentemente il mercato crede che un’azienda con zero debito e liquidità in cassa per oltre 4,8 miliardi abbia i numeri per far fronte alla crisi. La crisi dei piloti comprensibilmente costringerà l’azienda a venire incontro alle richieste del personale. Il costo del lavoro, oggi pari ad appena il 10% del fatturato, potrebbe salire riducendo i margini. È anche vero tuttavia che c’è un altro fronte su cui l’azienda riesce a risparmiare senza temere rivali: quello delle tariffe aeroportuali. Avendo puntato per tempo sugli scali secondari e poco battuti l’azienda è riuscita a contrattare tariffe ultraconcorrenziali e oggi solo 7,2 euro a passeggero sono riferibili a spese aeroportuali. Sui suoi aeroporti Ryanair ha un potere contrattuale che non ha rivali. Basti pensare che, per 55 di questi scali, i voli della compagnia irlandese valgono oltre il 50% del traffico.
Poi certo c’è da considerare la reazione dei passeggeri a seguito delle cancellazioni. Il fatto che Easyjet, nell’ultimo mese, abbia guadagnato l’8% in Borsa, fa pensare che il mercato creda che la concorrenza trarrà vantaggio dalla crisi.
Andrea Franceschi