Il Messaggero, 3 ottobre 2017
I referendum di Veneto e Lombardia costeranno 70 milioni di euro
Prima di aprire il dossier sulle consultazioni convocate per il 22 ottobre dalle Regioni Lombardia e Veneto occorre fissare un paletto: non c’è alcun collegamento o paragone possibile con il referendum (o non referendum) svoltosi domenica in Catalogna.
I catalani erano chiamati ad esprimersi sull’indipendenza della loro Regione dalla Spagna dopo che la Corte Costituzionale di Madrid aveva dichiarato illegale la consultazione. la posta in gioco per lombardi e veneti (e, di riflesso, per tutti gli altri italiani) è completamente diversa: si risponderà si o no alla richiesta di maggiore autonomia e dopo che la nostra Corte Costituzionale, in base dell’articolo 116 della Carta, ha dichiarato legittimo il voto.
Voto che però – altro paletto fondamentale – non ha alcun valore effettivo ma solo consultivo. Giova ricordare che l’Italia è una Repubblica parlamentare. Insomma, agli elettori è riservato il diritto non di fare le leggi ma di indicare una direzione politica. Perché poi sarà una eventuale trattativa fra Lombardia, Veneto e governo a dover varare una bozza di legge ad hoc sulla maggiore autonomia che solo il Parlamento ha il potere di trasformare davvero in norme operative. Insomma, la consultazione del 22 ottobre avrà anche un valore politico ma da qui a generare scelte concrete ce ne passa.
Anche perché, semplificando al massimo, circa 7,5 milioni lombardi e 3,7 veneti sono chiamati a rispondere a questa domanda: «Siete favorevoli o meno a trasformare le vostre amministrazioni in qualcosa di analogo a regioni a Statuto speciale come la Sicilia o il Friuli?». E rispondere sì o no sarà la parte più facile di una partita lunga e complessa perché non solo lo Stato ma anche le altre 13 Regioni a statuto ordinario, nonché le 5 a statuto speciale, avranno da dire la loro.
I DETTAGLI E qui entriamo nel dettaglio dei referendum. L’articolo 116 della Costituzione, che regola queste consultazioni introdotte nel 2001 dalle modifiche costituzionali che diedero più poteri alle Regioni, non fissa alcun quorum.
Questo significa che l’esito del voto resta valido (sempre nella cornice del semplice effetto consultivo) anche se vota meno del 50% degli elettori.
In parole più semplici il valore politico dei referendum di Lombardia e Veneto verrà dato soprattutto dall’affluenza: più gente andrà a votare (ed è chiaro che la grande maggioranza di chi si recherà alle urne voterà per il si) e maggiore sarà la rilevanza politica dell’evento e il suo effetto sul dibattito politico del Paese. Anche se, è bene ripeterlo, non c’è nessun obbligo giuridico per il governo di dare attuazione alle indicazioni che dovessero emergere dalle consultazioni e comunque il governo si è già dichiarato disponibile ad aprire un confronto.
È davvero utile, allora, convocare questo genere di consultazioni? La risposta non può che essere politica. Ma certo i detrattori dei referendum hanno buon gioco nel mettere in evidenza i costi delle due operazioni. Per il momento circolano cifre indicative che parlano di qualcosa meno di 50 milioni per la Lombardia e di una ventina per il Veneto. A far lievitare i costi lombardi, oltre al maggior numero di elettori, è stata la decisione del consiglio regionale di sperimentare per la prima volta il voto elettronico le cui modalità saranno specificate nei prossimi giorni. Si voterà, comunque, dalle 7 alle 23.