Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2017  ottobre 03 Martedì calendario

Nabokov, la vita dello scrittore Vladimir prima di incontrare «Lolita»

Vladimir Nabokov diede alle stampe l’edizione definitiva, riveduta e corretta, di Parla, ricordo (Adelphi, nella bella traduzione di Anna Raffetto, pagg. 368, euro 23) solo nel 1966, con allegato un ricordo delle Epistulae ex Ponto di Ovidio, maestro di Nabokov e di Brodskij. Ma il testo fu iniziato in realtà a Parigi, nel 1936, e fu ripreso dall’autore nel 1948, nel 1949 e nel 1951 a Cambridge nel Massachusetts, e a Ithaca, dove apparve con il titolo di Conclusive Evidence.
Conosciamo la grande casa di Pietroburgo e la tenuta di Vjra: tanti servitori, e boschi che nascondevano la tenuta. Il padre, letterato e uomo politico, fondò il Partito Costituzionale democratico: nel 1917 venne arrestato dai bolscevichi; e nel 1922 ucciso a Berlino, da due fanatici dell’estrema destra. Con grande nostalgia e tenerezza Nabokov racconta l’inizio del Ventesimo secolo. Allora il vecchio e il nuovo, la fatale povertà e la fatalistica necessità si fusero in un lungo intreccio. In nessun’altra epoca (disse un suo personaggio), vi erano mai stati tanti progetti, tanta audacia, tanta introspezione, forse tanto declino. I contadini amavano il padrone: o almeno i Nabokov; e per esprimere il proprio amore e il proprio entusiasmo lo gettavano in alto, per aria, e lo riaccoglievano tra le braccia.
In quegli anni si svolse l’infanzia di Nabokov: la sola parte, egli dice, autentica della sua vita. Aveva imparato l’inglese prima del russo, e trovava i prodotti inglesi nei negozi della Prospettiva Nevskij. Aveva anche governanti e precettori francesi, che gli fecero leggere Les Malheurs de Sophie di madame de Ségur: i romanzi di Dumas, di Victor Hugo, di Verne, e il Cyrano de Bergérac di Edmond Rostand.
Allora c’erano i treni, sopratutto quelli della Compagnie Internationale de Wagons Lits et des Grands Express Européens. Come li amava! Giungeva a Parigi: all’improvviso, vedeva da lontano la Tour Eiffel; e partiva per Biarritz, dove faceva i bagni. Il padre gli aveva insegnato a giocare a tennis: lui, per un certo periodo, in esilio, si mantenne dando lezioni di tennis.
Al padre dovette due grandi passioni, per gli scacchi e le farfalle. Agli scacchi dedicò nel 1930 un libro: La difesa di Lužin (Adelphi): il protagonista del libro conosce l’estasi degli scacchi; porta sempre due piccole scacchiere, cercando di giocare da solo, senza avversari. La passione per gli scacchi diventa nel suo personaggio qualcosa di assoluto: il “gioco degli dei”, come credo non accadesse a Nabokov, quasi sempre distinto dai desideri dei suoi personaggi, sebbene fosse, come scrittore, un supremo giocatore di scacchi.
Il padre gli aveva appreso ad inseguire le farfalle col retino aperto; e il figlio continuò a inseguirle anche quando andò, come professore, negli Stati Uniti. Diede anche, con orgoglio, il proprio nome a una di queste creature: la Nabokov’s Pug, presa nel corso di una battuta di caccia del 1943, nello Utah. E poi scrisse, con altrettanto orgoglio, un saggio su un tipo di farfalle che egli solo conosceva.
Nabokov cominciò presto a comporre versi, che ignoro e che, forse, anche lui dimenticò. Lesse il Cantare della schiera di Igor, Puškin, Tjutcev, Gogol, Tolstoj, e i grandi naturalisti dell’Ottocento. Corteggiava le parole: veniva corteggiato dalle parole; e le costringeva ad amare sé stesse. Nel 1917 i bolscevichi annunciarono il nuovo Eden, confiscando le proprietà dei Nabokov. Ma egli non aveva simpatia per i Bianchi. Fuggì. Salpò per Costantinopoli e poi per la Grecia, mentre in Russia aumentava il potere della polizia politica, di Lenin e sopratutto di Stalin. Andò a Berlino, terra incognita, dove visse parecchi anni con la moglie Véra.
Il primo libro di Nabokov, Mašenka, non è tradotto in italiano e forse nemmeno in inglese. Nel 1928 scrisse Re, donna, fante (Adelphi): nel 1930 La difesa di Lužin (Adelphi), un libro che ebbe molto successo: tra il 1930 e il 1932 La Gloria, che esce in questi giorni da Adelphi (traduzione di Franca Pace, pagg. 250, euro 20); non è tra i suoi capolavori, ma egli lo esalta per la purezza e la malinconia. Tra il 1935 e il 1937, Il dono, uno dei libri più felici che abbia mai letto, pieno di gioia e di compassione, – una compassione simile a quella di Dickens, come conoscono soltanto i Grandi Mistificatori.
Sappiamo cosa successe più tardi. Nel maggio 1940 Nabokov abbandonò la Russia e la lingua russa; e abbracciò gli Stati Uniti – che rappresentò in Lolita come nessun altro scrittore moderno – inventando una nuova lingua –, il fantastico e misterioso nabokoviano.Molti scrittori lo imitarono, tra i quali Gregor von Rezzori e John Banville – a volte stupendamente, ma senza cogliere l’essenza di quel gioco di scacchi, di farfalle e riflessi; quella meravigliosa Nabokovlandia, ancora amatissima da molti lettori del ventesimo secolo.