la Repubblica, 3 ottobre 2017
Nabokov, la vita dello scrittore Vladimir prima di incontrare «Lolita»
Vladimir Nabokov diede alle stampe l’edizione definitiva, riveduta e corretta, di Parla, ricordo (Adelphi, nella bella traduzione di Anna Raffetto, pagg. 368, euro 23) solo nel 1966, con allegato un ricordo delle Epistulae ex Ponto di Ovidio, maestro di Nabokov e di Brodskij. Ma il testo fu iniziato in realtà a Parigi, nel 1936, e fu ripreso dall’autore nel 1948, nel 1949 e nel 1951 a Cambridge nel Massachusetts, e a Ithaca, dove apparve con il titolo di Conclusive Evidence.
Conosciamo la grande casa di Pietroburgo e la tenuta di Vjra: tanti servitori, e boschi che nascondevano la tenuta. Il padre, letterato e uomo politico, fondò il Partito Costituzionale democratico: nel 1917 venne arrestato dai bolscevichi; e nel 1922 ucciso a Berlino, da due fanatici dell’estrema destra. Con grande nostalgia e tenerezza Nabokov racconta l’inizio del Ventesimo secolo. Allora il vecchio e il nuovo, la fatale povertà e la fatalistica necessità si fusero in un lungo intreccio. In nessun’altra epoca (disse un suo personaggio), vi erano mai stati tanti progetti, tanta audacia, tanta introspezione, forse tanto declino. I contadini amavano il padrone: o almeno i Nabokov; e per esprimere il proprio amore e il proprio entusiasmo lo gettavano in alto, per aria, e lo riaccoglievano tra le braccia.
In quegli anni si svolse l’infanzia di Nabokov: la sola parte, egli dice, autentica della sua vita. Aveva imparato l’inglese prima del russo, e trovava i prodotti inglesi nei negozi della Prospettiva Nevskij. Aveva anche governanti e precettori francesi, che gli fecero leggere Les Malheurs de Sophie di madame de Ségur: i romanzi di Dumas, di Victor Hugo, di Verne, e il Cyrano de Bergérac di Edmond Rostand.
Allora c’erano i treni, sopratutto quelli della Compagnie Internationale de Wagons Lits et des Grands Express Européens. Come li amava! Giungeva a Parigi: all’improvviso, vedeva da lontano la Tour Eiffel; e partiva per Biarritz, dove faceva i bagni. Il padre gli aveva insegnato a giocare a tennis: lui, per un certo periodo, in esilio, si mantenne dando lezioni di tennis.
Al padre dovette due grandi passioni, per gli scacchi e le farfalle. Agli scacchi dedicò nel 1930 un libro: La difesa di Lužin (Adelphi): il protagonista del libro conosce l’estasi degli scacchi; porta sempre due piccole scacchiere, cercando di giocare da solo, senza avversari. La passione per gli scacchi diventa nel suo personaggio qualcosa di assoluto: il “gioco degli dei”, come credo non accadesse a Nabokov, quasi sempre distinto dai desideri dei suoi personaggi, sebbene fosse, come scrittore, un supremo giocatore di scacchi.
Il padre gli aveva appreso ad inseguire le farfalle col retino aperto; e il figlio continuò a inseguirle anche quando andò, come professore, negli Stati Uniti. Diede anche, con orgoglio, il proprio nome a una di queste creature: la Nabokov’s Pug, presa nel corso di una battuta di caccia del 1943, nello Utah. E poi scrisse, con altrettanto orgoglio, un saggio su un tipo di farfalle che egli solo conosceva.
Nabokov cominciò presto a comporre versi, che ignoro e che, forse, anche lui dimenticò. Lesse il Cantare della schiera di Igor, Puškin, Tjutcev, Gogol, Tolstoj, e i grandi naturalisti dell’Ottocento. Corteggiava le parole: veniva corteggiato dalle parole; e le costringeva ad amare sé stesse. Nel 1917 i bolscevichi annunciarono il nuovo Eden, confiscando le proprietà dei Nabokov. Ma egli non aveva simpatia per i Bianchi. Fuggì. Salpò per Costantinopoli e poi per la Grecia, mentre in Russia aumentava il potere della polizia politica, di Lenin e sopratutto di Stalin. Andò a Berlino, terra incognita, dove visse parecchi anni con la moglie Véra.
Il primo libro di Nabokov, Mašenka, non è tradotto in italiano e forse nemmeno in inglese. Nel 1928 scrisse Re, donna, fante (Adelphi): nel 1930 La difesa di Lužin (Adelphi), un libro che ebbe molto successo: tra il 1930 e il 1932 La Gloria, che esce in questi giorni da Adelphi (traduzione di Franca Pace, pagg. 250, euro 20); non è tra i suoi capolavori, ma egli lo esalta per la purezza e la malinconia. Tra il 1935 e il 1937, Il dono, uno dei libri più felici che abbia mai letto, pieno di gioia e di compassione, – una compassione simile a quella di Dickens, come conoscono soltanto i Grandi Mistificatori.
Sappiamo cosa successe più tardi. Nel maggio 1940 Nabokov abbandonò la Russia e la lingua russa; e abbracciò gli Stati Uniti – che rappresentò in Lolita come nessun altro scrittore moderno – inventando una nuova lingua –, il fantastico e misterioso nabokoviano.Molti scrittori lo imitarono, tra i quali Gregor von Rezzori e John Banville – a volte stupendamente, ma senza cogliere l’essenza di quel gioco di scacchi, di farfalle e riflessi; quella meravigliosa Nabokovlandia, ancora amatissima da molti lettori del ventesimo secolo.