Corriere della Sera, 3 ottobre 2017
Zhang e i suoi fratelli (italiani). Tra i giovani fan del Bieber cinese arrivati a Bergamo per il suo concerto
Treviglio (Bergamo) Che ci sia qualcosa di inusuale è già evidente alla stazione: «Perché scendono tutti? – chiede un passeggero ad alta voce —. E perché sono tutti cinesi?». Treviglio, il paese di Ermanno Olmi e dell’ Albero degli zoccoli, per una sera sembra la Cina.
Oltre duemila persone, immigrati di prima e seconda generazione del gigante asiatico, riempiono il palazzetto dello sport per il concerto di Jason Zhang Jie, il Justin Bieber cinese. In Italia il suo nome è sconosciuto ai più, in patria il cantante 35enne è famosissimo: sul social network Weibo ha 48 milioni di fan. Domenica sera a vederlo c’erano ragazzi e ragazze provenienti da tutta Italia e da un pezzo d’Europa: Spagna, Francia, Svizzera. Un microcosmo, per una volta visibile, delle nuove generazioni cinesi che vivono in Europa.
Come Alan e Matteo, 17 anni, studenti dell’Istituto tecnico Moreschi di Milano: a partire dall’accento, due tipici adolescenti meneghini, con in più gli occhi a mandorla: «Ci piace andare in skate, lo street wear e il rap dei neri americani», dicono. «Ero curioso di vedere Zhang Jie ma preferisco l’hip hop – aggiunge Matteo, che come molti connazionali si fa chiamare con un nome italiano —, ha tutto un altro senso: quando ti metti gli auricolari e sei da solo, non ti senti solo».
Eddy, 23 anni, di Treviso, è con la fidanzata Marta, 21, di Verona. Ristoratori, vivono in Italia dall’adolescenza: «Torno ogni anno nella mia città, Wenzhou, ma in Italia mi trovo bene: è tranquilla e i mezzi funzionano».
Valentina e Liu Yang fanno le bariste e abitano a Milano: «Conosco Zhang Jie da quando ero in Cina», dice Liu, che ha 26 anni ed è qui da 10. È stata lei a trascinare Valentina (milanese di nascita): «Io mi sento una via di mezzo, né del tutto cinese né del tutto italiana – confessa —. Ho preso dagli italiani il fatto di essere più aperta, dai cinesi quello di lavorare sempre. Ma a differenza dei nostri genitori io e i miei amici in vacanza ci andiamo».
Fa parte della seconda generazione di cinesi in Italia. «Sono ben inseriti, hanno fatto la scuola in Italia e lavorano nei servizi» chiarisce Daniele Brigadoi Cologna, sinologo e sociologo dell’Università dell’Insubria. «Poi ci sono immigrati più recenti, che spesso non sanno parlare bene l’italiano, sono arrivati qui dopo la terza media e seguono stili e mode cinesi». Molti degli spettatori del concerto di Treviglio in effetti non capiscono bene l’italiano.
Tutti partecipano con entusiasmo, agitando bastoncini con i neon blu. L’apice della serata si raggiunge quando Zhan Jie canta «Felicità» e a sorpresa inscena un duetto con Al Bano. L’organizzatore della serata Mario Chen, della Hy Communication, è convinto che possa sfondare in Cina e ha organizzato l’incontro per promuoverlo. Su richiesta di Zhang il palazzetto intona «One, two, three... felicità!». Ma ai giovani cinesi di Al Bano importa poco. Il loro mondo è più globale. È quello di Sabrina, 14 anni, Marianna, 15, e Simone, 17: loro ascoltano Luhan (cinese), Fred De Palma (italiano), Zayn (britannico). La prima è bionda figlia di italiani, i secondi mori figli di cinesi. Parlano allo stesso modo. «Mi sento italiana a scuola con i miei amici – spiega Marianna —, divento più cinese quando vado in chiesa. Siamo cristiani e la Bibbia la leggiamo in cinese».
È stata lei a portare gli altri due: «Io e Sabrina siamo di Varese e migliori amiche, Simone è di Asti: l’ho conosciuto in chat. Siamo appassionati di informatica. Da grande vorrei lavorare in una grande azienda digitale» dice tutto d’un fiato. «Io vorrei inventare un nuovo sistema operativo» aggiunge lui. Sogni contemporanei di un mondo nuovo.