Corriere della Sera, 3 ottobre 2017
Dalla Scozia alla Slesia: catalogo dei separatisti d’Europa
A volte il separatismo fiorisce nelle regioni più ricche e sviluppate, come in Spagna la Catalogna, che si ritengono defraudate da sistemi fiscali tesi a drenare le loro risorse, per destinarle allo Stato centrale o a zone più arretrate, e temono di perdere competitività a livello globale. Lo abbiamo visto in Italia, quando la Lega invocava l’indipendenza della Padania, ma oggi vale soprattutto in Belgio per le Fiandre: qui l’Alleanza Neofiamminga (N-VA), divenuta il 1° partito a livello nazionale e approdata al governo del Paese, rivendica una maggiore autonomia tributaria e un assetto confederale che in prospettiva prefigura il distacco da Bruxelles, pur nella permanenza in Europa. Un caso simile si può considerare la Slesia, la regione polacca più industrializzata dove si manifestano tendenze separatiste.
In altri casi prevalgono motivi storico-culturali, la convinzione che la propria identità sia stata penalizzata. Quindi troviamo le aspirazioni della Scozia a separarsi dal Regno Unito, bocciate nel referendum del 2014 e anche nelle elezioni politiche dello scorso giugno, che hanno segnato una pesante sconfitta per i nazionalisti di Edimburgo (Snp), ma forse destinate a rinvigorirsi con l’attuazione della Brexit. E ci sono casi in cui l’indipendentismo ha adottato metodi violenti, come nei Paesi Baschi con l’Eta, che solo nel 2011 ha deposto le armi, e in Corsica con il Fnlc, che ha cessato gli attentati nel 2014.