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 2017  ottobre 03 Martedì calendario

Felipe, il silenzio del giovane re. Sarà lui alla fine il jolly di Madrid?

MADRID L’ultima volta che è comparso a Barcellona, il 26 agosto, è stato sommerso dai fischi e grida di «Fora, fora!» (fuori, fuori). E non era la prima volta. Imperterrito, ha incassato senza batter ciglio, dall’alto del suo metro e 97, continuando a stringere mani qua e là, orfano anche della moglie Letizia. Se lo aspettava Felipe, ma il re di Spagna non poteva mancare alla marcia contro il terrorismo, dopo la strage sulla Rambla. La sua presenza significava che la Catalogna, volente o no, aveva ancora un sovrano come capo di Stato. Seppure con poteri assai limitati e fragili.
È il momento più difficile del breve regno di Felipe VI, poco più di tre anni dopo il passaggio dei poteri dal padre Juan Carlos I. Fischiato in una Catalogna che in maggioranza si dichiara repubblicana, messo in discussione in tanta parte di Spagna, il capo della Casa dei Borbone per ora tace. Molti si aspettano che da un momento all’altro il suo volto barbuto compaia in tv per parlare alla nazione. Come fece suo padre nel 1981, togliendo ogni speranza ai golpisti che volevano rovesciare la giovane democrazia e guadagnandosi parecchi consensi, in un Paese che non era poi così entusiasta di un sovrano imposto dal dittatore Franco. Per quanto ribelle, però, il catalano Carles Puigdemont non è il colonnello Tejero, il governo spagnolo non è prigioniero di una banda militare e non ci sono carri armati da rispedire nelle caserme.
Felipe sa che deve muoversi con cautela, che la famiglia reale deve ancora farsi perdonare alcune amicizie discutibili di Juan Carlos e soprattutto i maneggi della sorella Cristina e del cognato Iñaki Urdangarin, che ha miracolosamente evitato il carcere. A conferma dell’eccezionalità del momento, consigliato dal potente Jefe de la Casa Real, Jaime Alfonsin, il sovrano ha cancellato qualsiasi impegno ufficiale per questa settimana. Sostengono i bene informati che sta lavorando dietro le quinte, nel palazzo della Zarzuela, il telefono incandescente dalle molte chiamate fatte ai vari protagonisti della «disfida» fra Barcellona e Madrid. Secondo il presidente dell’Estremadura, sarebbe lui il jolly da giocare per uscire dall’impasse e mediare fra le parti: «Nessuno dubiti, il re farà quello che deve», ha assicurato Guillermo Fernández Vara. L’articolo 56 della Costituzione spagnola d’altra parte gli assegna un ruolo limitato ma chiaro: «Il re è il capo di Stato, simbolo della sua unità e continuità, arbitra e modera il funzionamento regolare delle istituzioni…». Ma finora non si è spinto oltre il richiamo dello scorso 14 settembre: con un riferimento esplicito alla «situazione in Catalogna», ha avvertito che «la Costituzione prevarrà su qualsiasi frattura della convivenza democratica».
L’aristocrazia catalana, intanto, è scesa sul piede di guerra, perché nella regione non rischia di saltare solo la monarchia. Felipe non potrebbe più dirsi conte di Barcellona – l’unico titolo che restò alla famiglia reale durante l’esilio, tanto che Juan Carlos veniva chiamato «el chico de Barcelona» – e la principessina ereditaria, Leonor, perderebbe ben quattro titoli «catalani». E giù a catena fino all’ultima delle signorie. Così molti catalani di sangue blu sono usciti allo scoperto, a differenza del loro sovrano, facendo apertamente campagna contro il referendum, come il conte di Montseny e quello di Egara, il barone di Quadras e il marchese di Vilanova i la Geltrú. «I nostri titoli perderebbero tutta la loro essenza e sarebbero sotto una pseudo-legittimità rivoluzionaria che non ci riconoscerebbe – si sono lamentati sul quotidiano El Confidencial —. La Generalitat li renderebbe carta straccia».