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 2017  ottobre 03 Martedì calendario

Chi è l’assassino di Las Vegas

Il signor Nessuno è diventato qualcuno comportandosi da terrorista. Meticoloso, feroce, determinato, Stephen Paddock è arrivato a Las Vegas il 28 settembre, ha scelto il Mandalay Hotel ed ha creato la sua postazione al trentaduesimo piano, vicino alla stanza 32134. Poi domenica, alle 22.08, ha aperto il fuoco e per essere sicuro di uccidere il maggior numero di persone possibili si è portato molti fucili. Che in apparenza nessuna cameriera ha visto. Forse li aveva mimetizzati in sacche da golf o chissà come. Sono bastati pochi minuti per compiere il massacro. Sono trascorse diverse ore perché lo Stato Islamico creasse la sua versione parallela rivendicando l’attentato presentandolo come un «soldato del Califfato», un convertito che ha risposto agli appelli a colpire.
Se lo era per davvero Paddock ha mentito bene, ai parenti e agli amici. Perché la storia che raccontano è diversa. Solo pochi giorni fa, lui un habitué delle case da gioco, aveva scommesso forte. Non si sa con quali risultati. Magari qualche dritta arriverà dalla sua compagna, Marilou Danley, attualmente in Giappone, è attesa negli Usa per essere interrogata. Ritengono che abbia molto da dire, almeno sugli ultimi tempi. La coppia viveva a Mesquite, in una villetta acquistata per 390 mila dollari in un sobborgo per pensionati – devi avere più di 55 anni per risiedere —, ad un’ora di macchina dalla città del peccato. L’omicida non frequentava i vicini e andava di frequente a Las Vegas, per tentare la fortuna al videopoker o ad ascoltare musica, in particolare country, come quella delle sue povere vittime.
Sessantaquattro anni, divorziato nell’80, il killer ha girato molto. Texas, California, Henderson, in Florida, Reno, in Nevada. Pare che avesse fatto il contabile, con la passione per il volo – certificata dal brevetto da pilota – e la caccia. Il fratello Eric ha escluso affiliazioni politiche oppure religiose, ha sostenuto che Stephen fosse molto ricco, un milionario che gestiva proprietà immobiliari. Quanto alle armi ha minimizzato: «Aveva due pistole ed un fucile, mi chiedo dove abbia preso il resto». Poi ha ricordato l’ultimo messaggio ricevuto dopo il recente uragano che ha investito la Florida: «La mamma è in forma? Avete problemi?». Quindi un aspetto più personale. Il loro padre era finito negli anni 60 nella lista dei più ricercati dell’Fbi perché coinvolto in una rapina in banca e in un’evasione. Precedenti pesanti, l’opposto di Stephen. Nel suo passato qualche infrazione stradale e una causa intentata – senza successo – nel 2014 contro il Casinò Metropolitan. Siamo, però, all’inizio e dunque non bisogna correre a conclusioni in una vicenda che ha ancora aspetti da chiarire.
L’anonimato, comunque, non sorprende gli esperti. I killer di massa – come alcuni attentatori jihadisti – nascondono bene le loro intenzioni. E studiano per essere letali. I terroristi per adempiere alla missione. Gli stragisti per superare chi li ha preceduti. Paddock ha messo insieme le due cose, con premeditazione criminale. Ha scelto la «feritoia» migliore a 500 metri dall’obiettivo. Ha modificato l’arsenale per sparare in automatico centinaia di colpi: questo grazie ad un meccanismo acquistabile online. Lo ha portato nell’albergo sotto gli occhi di tutti in un’area sensibile. A poche centinaia di metri in linea d’aria decollano i jet speciali diretti alla misteriosa Area 51 e sono visibili dal Mandalay.
Stephen ha trasformato lo Streap in un poligono dove però le sagome non erano di legno, ma persone inermi. Appostandosi in una posizione elevata ha guadagnato tempo rispetto alla risposta della polizia, minuti durante i quali ha continuato a rovesciare piombo sugli spettatori. Fino alla fine.
Quando le teste di cuoio hanno fatto saltare la porta della sua stanza si è suicidato. Ha imitato i due di Columbine o l’uccisore dei bimbi a Newtown e non i seguaci del Califfo. Che ora provano farlo proprio senza dare prove.