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 2017  settembre 23 Sabato calendario

Sferificami la schiscetta

Le parole sono strumenti. Le usiamo per descrivere oggetti, situazioni, concetti, emozioni. Per questo mutano con il tempo, continuamente, insieme all’evolversi delle nostre abitudini, delle nostre idee, della nostra cultura. E ci sono parole che usiamo con disinvoltura, come se avessero sempre avuto il significato che attribuiamo loro oggi. Invece non è così. E il caso di “sostenibile”, che in passato si usava solo per indicare che qualcosa era “tollerabile”, mentre oggi fa capolino nelle nostre conversazioni quasi unicamente associato ai concetti di sviluppo economico o di mobilità, seguendo le tracce dell’inglese sustainable. Ma ci sono anche termini che, in qualche maniera, riteniamo immutabili, e invece si sono trasformati profondamente con il tempo. Provate a cercare “amore” all’interno di un dizionario di cinquant’anni fa e vi sorprenderete.
AMORE E GUERRA. Col tempo, insomma, la lingua cambia. E i dizionari si sono adeguati, comprendendo voci nuove e cambiando in parte il significato di altre. Sono così entrate parole come “sferificazione” (ridurre a palline un cibo per presentarlo come se fosse una sorta di caviale), “oliocottura” o “hikikomori” (i giapponesi che vivono restando sigillati in casa), per esempio. In effetti, i neologismi, cioè le parole che prima non esistevano, come il recente “postverità” ricavato dall’inglese post-truth, attirano di più l’attenzione. «Invece è più importante capire come hanno mutato e allargato il loro significato termini più comuni come “guerra” o “famiglia”», spiega il linguista Luca Serianni, che insieme a Maurizio Trifone firma la nuova edizione del classico dizionario Devoto-Oli, profondamente trasformato per adeguarsi ai tempi, e che comprende anche una versione per telefoni cellulari. «“Guerra”, cinquant’anni fa, accoglieva al suo fianco aggettivi come “mondiale”, “batteriologica” o “chimica”, in una fraseologia che faceva riferimento a eventi che hanno segnato la prima metà del Novecento. Oggi invece ha drammaticamente ampliato la propria gamma di significati e si parla di guerra preventiva, asimmetrica, umanitaria, santa, etnica, totale, senza dimenticare le guerre stellari». Una resa amara, insomma, a quanto l’idea di guerra sia diventata parte delle nostre vite pur in assenza di conflitti globali come le due guerre mondiali.
Un caso particolare, poi, è quello del termine “jihad”, che nella prima edizione del 1967 il DevotoOli registrava, insieme ad altre parole del Corano, con il significato di “lotta”. Solo in seguito, ha cominciato a denotare l’idea di “guerra santa”. Quanto a “famiglia”, nella definizione non si fa più riferimento quasi obbligato a un uomo e una donna, ma più generalmente a due persone che costituiscono un vincolo; idea che dà luogo a espressioni come “famiglia allargata” e “famiglia arcobaleno”, che di fatto registrano situazioni nate dalle lotte per il diritto al divorzio e i matrimoni omosessuali. Quando si tratta di “amore”, invece, già nelle prime righe si parla di sesso in modo esplicito, riferimento che anche solo cinquant’anni fa era impensabile.
MA DA DOVE VIENI? Uno dei motori del processo di cambiamento delle parole è l’influenza delle lingue straniere e, nell’italiano che ha una forte tradizione a proposito, dei dialetti. Sustainable non è l’unico caso di termine che attrae una parola che nella nostra lingua suona allo stesso modo. Ci sono per esempio “realizzare”, che da realize ha tratto il significato di “rendersi conto”, oppure “emendamento” che è entrato nel lessico parlamentare seguendo il corrispettivo amendment, o espressioni come “portare evidenze” con il significato di portare prove (evidences) a sostegno di qualcosa. Esistono poi termini come “sapiosessuale”, adattamento dall’inglese sapiosexual per definire qualcuno che prova attrazione erotica per le persone intelligenti e colte. Quando non si cade nella pigrizia più completa prendendo un termine straniero e inserendolo di peso nella nostra lingua (v. riquadro a sinistra). Un’abitudine che sarebbe meglio evitare, specie se in una stessa frase si superano i due anglicismi e se il corrispettivo italiano esiste. Basterebbe dire “tutto compreso” per all inclusive o, in ambito tecnologico, “allegato” al posto di attachment in un messaggio di posta elettronica, perfetto sostituto, quest’ultimo, di email.
Diverso è il discorso per i regionalismi che sono oggi in aumento, soprattutto quando si vuole dare maggiore espressività alla lingua, anche se alcune volte chi parla non ha la consapevolezza che si tratti di parole comprese solo in una determinata area geografica. «Alcuni termini, come “abbiocco”, per indicare uno stato di stanchezza, o “schiscetta”, cioè pranzo cucinato portato da casa, hanno guadagnato popolarità a livello nazionale. E successo anche a “rosicare” (o “rosicone” per definire qualcuno che non accetta una sconfitta), nei dizionari fin dal 1907 ma rilanciato qualche anno fa dall’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi», chiosa Serianni.
Le parole, poi, vanno usate aH’interno di un preciso registro, che sia colloquiale o regionale, burocratico o familiare, volgare o ironico. «La comprensione dei registri d’uso è uno dei motivi che ancora spingono a consultare un dizionario cartaceo», conferma Serianni. «Noi abbiamo distinto il piano formale, tipico di termini come “celibe”, che hanno un uso a volte burocratico, da quello elevato, nel quale compaiono parole come “acerrimo” o “nefando”, che oggi si possono ritrovare in un editoriale su un quotidiano, magari con intenzioni ironiche».
IL SESSO FORTE. Il dizionario, inoltre, ha di recente preso atto di una tendenza a usare sempre più spesso il femminile per alcune professioni, o ruoli, un tempo declinati solo al maschile. In molti casi, a dire il vero, il femminile esisteva già, come per “ministra”, che però era inteso come la moglie del ministro, mentre termini come “carabiniera” o “bersaglierà” avevano spesso una connotazione ironica. «Dal punto di vista lessicale non esistono obiezioni», specifica Serianni, «ma naturalmente sono le stesse donne che dovrebbero utilizzare questi termini, o aver piacere di utilizzarli». Denominazioni come “segretaria di partito”, per esempio, non vengono viste di buon occhio, per ragioni facili da intuire.
Tra gli esempi più recenti di questo tipo c’è poi “sindaca”. Alcune donne elette alla carica in questi mesi, come Chiara Appendino a Torino o Virginia Raggi a Roma, rivendicano il femminile e altre, come era accaduto per Letizia Moratti a Milano, preferiscono il maschile. Certo, a guardar bene, una frase come “il sindaco è incinta” grammaticamente e logicamente qualche dubbio lo pone e forse tra qualche anno nessuno si sognerà più di pronunciarla.