Focus, 23 settembre 2017
Col cervello potenziato
Si indossano come una cuffia o una fascia intorno alla fronte, ma anziché musica trasmettono deboli impulsi elettrici che agiscono sulla corteccia cerebrale. E secondo i loro produttori possono migliorare le prestazioni fisiche e la capacità di concentrazione. I dispositivi di stimolazione elettrica transcranica si stanno diffondendo in molti settori, e sono sempre più richiesti. Uno dei più diffusi, quello prodotto dall’americana Halo Neuroscience, è stato perfino adottato dai militari Usa: sarà utilizzato nell’addestramento dei Navy Seals, corpo della Marina specializzato in “missioni impossibili”. Attualmente, è in via di sperimentazione: «I primi risultati sembrano positivi», ha dichiarato l’ammiraglio Tim Zymanski, comandante dei reparti della Marina per le operazioni speciali. «La capacità di attenzione dei soldati durante l’addestramento abitualmente diminuisce dopo 20 minuti, ma grazie alla stimolazione elettrica si ottengono ottime prestazioni anche per 20 ore di seguito». Questi dispositivi sono utilizzati poi da alcune squadre professionistiche di football americano o di baseball. Di solito gli atleti li indossano durante gli esercizi di preparazione fisica in palestra, per aumentare la concentrazione. La squadra dei San Francisco Giants (baseball) li sta sperimentando anche sui campi di gioco, durante l’allenamento, per aumentare la precisione e la distanza dei lanci.
MODIFICARE I CIRCUITI. E questi “stimolatori cerebrali” (così li definisce chi li vende) sembrano essere utili anche per altre applicazioni, come curare la depressione e imparare più rapidamente le lingue o la matematica. Su YouTube è anche possibile trovare video tutorial per chi li vuole costruire da sé e sul Web sono nati forum di utenti entusiasti che si confrontano sui successi ottenuti nel potenziamento delle loro capacità di i mparare qualcosa. Anche se, in qualche caso, non mance ino gli inconvenienti: c’è per esempio chi si è fatto qualche bruciatura sul cuoio capelluto o è diventato troppo nervoso e irritabile a causa di un uso troppo prolungato. In commercio se ne trovano ormai di tutti i tipi, dai modelli più semplici da 30 dollari a quelli più “tecnologici” impiegati dai marines, che ne costano 700. Ma che cosa sono realmente gli “stimolatori cerebrali”? In realtà ne esistono di diversi tipi, e alcuni vengono usati da anni perché si sono dimostrati efficaci in alcuni ambiti medici, per esempio nella cura alla depressione. «Semplificando molto», dice Andrea Stocco, neuroscienziato e condirettore del Cognition and Cortical Dynamics Laboratory dell’Università di Washington, negli Stati Uniti, «questi apparecchi si possono ricondurre a due tecnologie: la stimolazione magnetica transcranica (Tms),che agisce sulla corteccia cerebrale mediante un campo magnetico opportunamente modulato, o la stimolazione transcranica a corrente diretta (tDcs), che invece usa deboli correnti elettriche, modulate a varie frequenze, sempre allo scopo di sollecitare il funzionamento del cervello». Quest’ultimo sistema è anche il più diffuso nei prodotti in commercio, perché richiede un’attrezzatura molto semplice: in sostanza qualche pila e un potenziometro per regolare l’intensità della corrente. Quali siano gli esatti meccanismi prodotti sui neuroni della nostra corteccia da questo tipo di stimolazione non è noto nel dettaglio. Una delle ipotesi è che aumenti lo stato di eccitabilità delle cellule cerebrali portandole a reagire con più “prontezza”.
SESTO SENSO. Quel che è certo, spiega Stocco, «è che grazie alla stimolazione transcranica si possono modificare nel lungo periodo le strutture di alcuni circuiti neurali, sostanzialmente con tre finalità: medica (per curare malattie), di supporto alla ricerca (per verificare come funziona il nostro cervello e, in particolare, la corteccia cerebrale), e, infine, come interfaccia, per fornire al cervello segnali da interpretare, per stimolarlo. E quanto per esempio facciamo noi nel nostro laboratorio all’Università di Washington». Il gruppo di lavoro di cui fa parte Stocco alla fine del 2016 è infatti riuscito, utilizzando la stimolazione magnetica transcranica, a guidare un gruppo di volontari attraverso labirinti virtuali senza vederli, ma semplicemente seguendo segnali, chiamati fosfeni, generati nel cervello con la stimolazione magnetica transcranica. «I fosfeni possono essere percepiti in modo diverso dalle persone: a volte appaiono come una sorta di “flash”, oppure come onde o macchie luminose», spiega Stocco. «Non derivano da una percezione visiva, ma da uno stimolo applicato al cervello dall’esterno. Se si impara a utilizzarli e interpretarli possono essere usati come una sorta di sesto senso». L’obiettivo della ricerca è mettere a punto un dispositivo in grado di aiutare persone che hanno problemi percettivi, per esempio i ciechi, a muoversi in libertà.
RISULTATI IN MATEMATICA. La stimolazione transcranica, del resto, ha già mostrato interessanti potenzialità. Tra il 2007 e il 2013, il team di ricerca dell’Università di Oxford guidato da Roi Cohen Kadosh l’ha dapprima usata per individuare l’area della corteccia deputata alle abilità matematiche, sul lobo parietale destro, proprio sopra l’orecchio. Poi, con opportune stimolazioni, è riuscito a “modificarla”. Usando questi campi magnetici, Cohen Kadosh e colleghi sono riusciti a inibire temporaneamente le capacità di calcolo dei volontari esaminati, mentre con la stimolazione a corrente diretta sono riusciti a migliorarle, producendo di fatto un potenziamento delle loro abilità matematiche esteso nel tempo (fino a sei mesi). «Un sistema che non trasforma le persone in geni, ma che può aiutare alcuni bambini a superare problemi come la discalculia, un disturbo dell’apprendimento», osserva lo studioso. I risultati ottenuti da questo gruppo di ricercatori hanno colpito a tal punto l’opinione pubblica britannica da provocare un’impennata nelle vendite di sistemi di stimolazione transcranica. Ma la ricerca sulle applicazioni di questi apparecchi riguarda ancora soprattutto l’ambito medico. Il metodo sta dando interessanti risultati proprio nel miglioramento delle capacità percettive, fino al punto di restituire parzialmente la vista a persone che l’hanno persa per infarti o ictus. In questo campo è impegnata la scienziata italiana Lorella Battelli, che conduce le ricerche in due strutture aperte dalTIstituto Italiano di Tecnologia (Iit), una negli Usa, alla Harvard Medicai School, e un’altra all’Università di Trento, il Centro per le Neuroscienze e i Sistemi Cognitivi. «Negli Usa facciamo ricerca sui soggetti sani, in Italia sui pazienti», dice Battelli. «Qui in particolare studiamo i “ciechi corticali”, persone che hanno problemi alla vista in seguito a un ictus. Abbinando la stimolazione elettrica transcranica random noise (correnti elettriche a frequenze che variano in modo casuale) a metodi di training specifici per questo tipo di ciechi, abbiamo notato significativi miglioramenti nella visione. Ora stiamo lavorando perché i risultati divengano permanenti e non solo di breve durata». Nei test su persone sane fatti dal team dell’Iit ad Harvard si è notato che la stimolazione transcranica migliora la discriminazione percettiva, cioè, spiega Battelli, «la capacità di seguire e individuare movimenti rapidi. Ed è questa caratteristica in particolare che ha destato l’interesse delle squadre di baseball e dell’esercito Usa».