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 2017  settembre 01 Venerdì calendario

La partita delle acquisizioni tra Italia e Francia

Nel campionato europeo dell’economia, Francia e Italia giocano entrambe in serie A. Da tempo assistiamo a un derby tra le due cugine latine, che negli ultimi dieci anni ha raggiunto un valore di circa 60 miliardi di euro nelle operazioni di fusione e acquisizione. Le partite sono tantissime e toccano tutti i settori: lusso, agroalimentare, industria, telecomunicazioni... Il gioco francese è apparso sempre molto più incisivo, per non dire aggressivo, di quello italiano. Secondo uno studio di Kpmg, tra il 2006 e il 2016 ben 186 aziende italiane sono state rilevate dai francesi, per un controvalore di oltre 52 miliardi di euro, mentre gli italiani hanno messo in campo poco meno di 8 miliardi in 97 operazioni. Il 2016 è stato un anno record, con 34 transazioni francesi nella Penisola (9 miliardi, sui 65 totali spesi dagli stranieri per alcuni gioielli del made in Italy) contro 21 transazioni italiane nell’Esagono (per circa 2,5 miliardi di euro). Da Bulgari a Parmalat, passando per Bnl, a uno spettatore poco attento può sembrare che la squadra francese la faccia da padrone, sia per possesso di palla che per occupazione del campo avversario. Ma, a ben guardare, anche gli italiani hanno segnato alcuni bellissimi gol. Gampari ha comprato, per oltre 680 milioni di euro, Grand Marnier, storico marchio degli alcolici. Carte Noire, leader in Francia nel mercato del caffè, è stata acquisita da Lavazza per 700 milioni di euro. La cartiera Canson, fondata nel 1577, che produce e distribuisce carte di qualità, è stata rilevata da Fila per 85 milioni di euro: un’operazione modesta dal punto di vista economico, ma importante dal punto di vista sentimentale per generazioni di studenti francesi che hanno disegnato su fogli di papier Canson.
Le tattiche sono diverse sui due fronti. I francesi puntano a settori strategici come il lusso (sulla scia di Lvmh), le telecomunicazioni (vedi la scalata di Mediaset e di Telecom Italia da parte di Vivendi) o la finanza, con la cessione della società di risparmio gestito Pioneer ad Amundi da parte di Unicredit. I gruppi italiani fanno invece campagna acquisti sull’altro versante delle Alpi in una logica di sinergie (Lavazza-Carte Noire, oppure la fusione Luxottica-Essilor per far nascere un colosso dell’occhialeria) o per permettere alle Pmi di superare un primo traguardo verso un’auspicata internazionalizzazione. La difesa italiana si rivela in genere più permeabile, con un’economia in cui i grandi gruppi sono meno diffusi, la continuità generazionale più trascurata e Stato meno forte. Colpa della debolezza delle istituzioni, meno capaci e disposte a sostenere gli attori economici, ma colpa anche del capitalismo italiano senza... capitale. Il “sistema Italia”, poi, ha sempre fatto perno sul sistema bancario, che si è rivelato troppo vulnerabile nella crisi di questi ultimi anni. L’Italia ha dovuto così rinunciare a operazioni di sistema per rassegnarsi, Oltralpe, a operazioni mirate in settori meno strategici per lo Stato francese. Che peraltro pratica perfettamente l’arte della difesa a catenaccio quando i suoi interessi sono minacciati. L’esempio lampante è stata la difficile trattativa per l’acquisizione di Stx France da parte di Fincantieri. Il governo transalpino ha posto sempre una serie di condizioni e di veti, presentandosi allo stesso tempo come giocatore e come arbitro. E a partita ormai vinta dagli italiani nella primavera di quest’anno, l’intervento a gamba tesa del presidente Macron a luglio ha portato i due Paesi sull’orlo della crisi diplomatica.
Non è però sempre vero che l’Italia non si difende. Il gruppo di Berlusconi, sostenuto dal governo Gentiioni, si è opposto a oltranza al blitz di Vivendi diretto al cuore del suo impero, Mediaset. Carlo Calenda, ministro dello Sviluppo economico, ha ricordato che l’Italia non è un Paese per scorrerie-, invocando «meccanismi di messa in sicurezza peri settori strategici del Paese- e proponendo una norma francese»: chi acquista una partecipazione in una società italiana quotata che opera in un settore strategico dovrà fornire alla Consob informazioni sui suoi piani. Non è protezionismo o altro, ma liberalismo pragmatico, ha puntualizzato il ministro, ribadendo il rispetto del principio del libero scambio, ma allo stesso tempo dicendo di voler «dotare il Paese di sistemi che gli consentano di lottare ad armi pari. Francesi e italiani, però, farebbero meglio a lasciar perdere i cori da stadio e capire che giocano nella stessa squadra: l’Europa.