Panorama, 28 settembre 2017
Ormai noi macchine vediamo cose che voi umani non potete neanche immaginare
La morte, almeno quella fisica, ha i giorni contati. Vivremo all’infinito, traslocando il contenuto e le capacità del nostro cervello in corpi bionici. Sarà semplice come trasferire le foto dal computer a una chiavetta Usb. Tramanderemo all’infinito non solo ricordi ed esperienze, ma anche il nostro io, la nostra personalità e la capacità di ragionare. Sembra la trama di un film di fantascienza, ma è l’ultima profezia di Ray Kurzweil, uno degli uomini più informati al mondo nel campo della ricerca tecnologica.
Direttore del reparto Ingegneria di Google e co fondatore della Singularity University (una fabbrica di geni nella Silicon Valley, in California), Kurzweil è uno scienziato che vanta un record insolito: dagli anni Novanta a oggi, ha formulato 147 previsioni sul futuro che si sono rivelate esatte nell’86 per cento dei casi. «11 restante» precisa il luminare «non è sbagliato. Deve ancora avvenire». La novità dell’ultima visione di Kurzweil è l’imminenza. Secondo i suoi calcoli, mancano appena 12 anni all’arrivo di macchine più intelligenti dell’uomo. «Nel 2029 i computer saranno in grado di superare il test di Turing» ha detto lo scienziato. Se interrogati, riusciranno a ingannare l’uomo facendogli credere di essere loro simili e non macchine. Saranno in grado di ragionare (anche in termini astratti), comprendere, apprendere, scherzare, mettere in atto strategie e persino mentire. «A quel punto, assisteremo a un’accelerazione evolutiva esponenziale». Uno scenario che apre prospettive difficili da immaginare.
«L’evoluzione del genere umano è a una svolta. Potremo replicare noi stessi» spiega a Panorama David Orbali, fondatore di innumerevoli società hi-tech di successo, visionario e professore proprio di quella Singularity University che Kurzweil ha creato.
A Milano per il primo SingularityUniversity summit, Orban sostiene che i replicanti preconizzati 35 anni fa nel film Biade Runneresistemano per davvero, ma saranno solo un anello dell’evoluzione della specie. Nel capolavoro di Ridley Scott, infatti, erano androidi dotati di intelligenza artificiale. Una specie evoluta di robot. Nel futuro che ci aspetta, secondo Kurzweil e Orban, oltre agli androidi robotici ci saranno creature potenziate (con chip innestati nel cervello per espandere la memoria a dismisura collegandosi al sapere del web), ma anche uomini immortali. Saremo noi i veri replicanti: «Potremo viaggiare alla velocità della luce in rete» spiega Orban. Uscire da un corpo bionico a Milano ed entrare in un altro a New York, velocemente, come inviare un’email. «Potremo addirittura inserire il nostro io digitale in più corpi cibernetici e spedirli a vivere vite differenti. Decidere di non morire mai».
C’è di che avere paura? Lo scienziato di fama mondiale Stephen Hawking (e come lui tanti) sostiene che le intelligenze artificiali, non regolamentate, potrebbero decretare la fine dellTimanità. Ixi scrittore di successo e storico israeliano Yuval Noah 1 larari nel suo nuovo libro Homo Deus. Una breve storia del fatimi (Bompiani), prevede che gli sviluppi dell’intelligenza artificiale trasformeranno il resto dell’umanità in una «classe inutile». Anche le principali religioni avranno i loro bei problemi da affrontare se saremo noi stessi a sostituirci a Dio decidendo autonomamente di donarci la vita eterna. Agli occhi degli scettici verrebbe da pensare che i racconti di Kurzweil e Orban siano solo stravaganze. Invece si basano su fonti solide. Tratteggiano il futuro che ci aspetta, traducono quello che accade nei laboratori nella Silicon Valley. Quando Kurzweil dice che «entro il 2030 avremo una zona della corteccia cerebrale connessa al cloud» non sta vaneggiando. Nell’ultrasegreto laboratorio californiano di Facebook, chiamato asetticamente «Building 8», gli scienziati di Mark Zuckerberg studiano come collegare il cervello al web. Stanno elaborando un dispositivo che consenta di leggere i pensieri e comunicare con le onde cerebrali. Per mettere «mi piace» basterà pensarlo. Poi c’è Elon Musk, il fondatore di Tesla (auto elettriche intelligenti) e SpaceX (viaggi spaziali) ha creato una società chiamata Neurolink che sviluppa «lacci neurali» per connettere il cervello ai computer. In modo da navigare il web e tutti i suoi contenuti solo con la forza del solo pensiero.
Chi pensa che l’intelligenza artificiale sia una realtà remota, sbaglia. Stiamo già vivendo in un mondo governato da macchine intelligenti: «Delle loro potenzialità trae beneficio oltre un miliardo di persone già oggi» sostiene Enrico Cereda, numero uno di Ibm in Italia. «L’intelligenza artificiale non è una minaccia» continua Cereda «non deve sostituire l’uomo, ma aiutarlo a prendere decisioni analizzando milioni di dati». La usiamo quando interroghiamo (su qualsiasi argomento) i nostri smartphone e ci sentiamo rispondere da voci robotiche chiamate Siri, Alexa, Cortana. È nelle mappe che compaiono sul display e adattano il percorso a seconda del traffico. Fa funzionare i software che analizzano milioni di dati in un battere di ciglia. Quelli che già adoperano gli ospedali per curare il cancro e la polizia per prevenire attentati. È la mente delle auto che si guidano da sole. «Le macchine pensanti hanno reso il mondo globale traducendo istantaneamente testo scritto e parlato in qualsiasi idioma» spiega a Panorama Fabio Moioli, direttore divisione Enterprise di Microsoft Italia. «Già oggi, il nostro programma di video comunicazione Skype, permette di parlare in italiano e farsi capire in tutto il mondo grazie alla traduzione in tempo reale della voce. Per Microsoft» prosegue Moioli «l’intelligenza artificiale deve essere democratizzata e alla portata di tutti». Indispensabile consulente per istituzioni finanziarie e assicurazioni, l’intelligenza fatta di bit gestisce acquedotti, reti elettriche e persino le previsioni metereologiche. Ora sta sbarcando negli oggetti, inserita in processori super potenti. Il chip «All bionic» presente sui nuovi iPhone è un cervello in grado di svolgere fino a 600 miliardi di operazioni al secondo, inclusa quella di riconoscere il volto del suo proprietario, capirne e registrarne le abitudini. 11 prossimo 16 ottobre, Huawei svelerà invece il Mate 10. Il suo cuore, il «Kirin 970», è un chip di calcolo neuronaie. Analizzerà l’ambiente per poi scattare foto strepitose e riuscirà a riconoscere i comandi vocali del suo padrone anche nel traffico.
La nuova espansione dell’intelligenza artificiale, quella che è in corso oggi, è l’autoapprendimemo. Il cosiddetto «machine learning». L’anello che manca alle macchine per diventare più intelligenti dell’uomo. In questo campo, Ibm è all’avanguardia. Il suo super computer Watson, prodotto e servizio già in vendita, è un sistema cognitivo. «Apprende in modo simile agli umani, ma è molto più veloce» spiega Cereda. «In pochi secondi è in grado di leggere l’equivalente di un milione di libri. Non si limita a memorizzarli, li impara. Una volta diventato il massimo esperto in qualsiasi materia, può essere interrogato a voce. Comprende moltissime lingue, giapponese e italiano incluse. Quando gli viene posto un quesito, risponde in un batter d’occhio con un linguaggio naturale come se fosse un essere umano».
L’autoapprendimento è l’anello che manca alle macchine per diventare più intelligenti dell’uomo. Ma ci stiamo arrivando. Google ha realizzato un computer in grado di battere il campione mondiale di Go, un gioco di strategia orientale difficilissimo. È riuscito nella missione dopo aver osservato migliaia di partite. Un computer intelligente di Microsoft, in Olanda, ha analizzato tutti i dipinti di Rembrandt. Poi ne ha dipinto uno ex novo con una stampante 3D. Il risultato è stato così realistico che i massimi esperti lo hanno scambiato per un inedito. Pochi giorni fa, durante il G7 di Torino, il commissario straordinario al digitale per l’Italia Diego Piacentini ha mostrato a 38 studiosi provenienti da tutto il mondo un esperimento. Un software ha letto 60 mila volte l’enciclopedia Wikipedia e 20 libri sull’innovazione. Una volta terminato, il computer ha scritto un testo che è risultato molto simile a quello che gli stessi studiosi (umani) avevano redatto per provare a regolamentare l’intelligenza artificiale. Sembra che l’uomo in quanto essere razionale, esisterà sempre meno. Di questo passo, il passaggio da avere il telefonino sempre in mano ad avere il cervello costantemente connesso sarà breve. Ha ragione il New York Times quando sostiene che «per sopravvivere alle intelligenze artificiali, dovremo diventare super-uomini». Affrontare un nuovo scatto evolutivo postDarwin. Il primo in cui non è la selezione naturale a garantire la sopravvivenza, ma l’uomo stesso ad adattare la propria specie alle nuove regole. Aveva ragione Philip K. Dick quando, nel 1968, scrisse II cacciatore di androidi, il libro che ha ispirato Biade Rimner. Hanno ragione Kurzweil e Orban. I veri replicanti saremo noi.