La Stampa, 30 settembre 2017
I primi nordcoreani qualificati ai Giochi. Ma decide il regime
Ora la Corea del Nord è costretta a scegliere o almeno a cambiare la risposta sulle Olimpiadi, ultima traccia di diplomazia nella politica dello scontro: «Non sappiamo se saremo ai Giochi della Corea del Sud perché non abbiamo atleti qualificati». Fino a ieri.
Ryom Tae Ok e Kim Ju Sik si sono presi un regolare pass sulla pista del Nebelhorn Trophy, ultima chiamata per il pattinaggio artistico. Lei ha 18 anni, lui 25, si sono allenati in Canada per trovare un posto e non è stato un viaggio facile. Senza conoscere la lingua, attaccati a una coreografia che dovrebbe portarli dove non hanno ancora il permesso di andare. Un viaggio a soli 64 chilometri dal confine del loro Paese: distanza siderale.
Il Nord ha boicottato Seul nel 1988 e ora non sa bene se esserci è un segnale di forza o una concessione alla pace tenuta in ostaggio con le prove di nucleare. Non erano nemmeno certi di avere il problema: nell’ultima edizione non hanno presentato atleti, nel 2010 erano in due, persino le wild card, gli inviti alla partecipazione, sono difficili da piazzare. Qualcuno si fa notare nel pattinaggio di velocità, ma la coppia artistica era la sola concreta opportunità di esserci e i ragazzi si sono presi uno degli ultimi cinque posti a disposizione.
Il primo aborigeno
Assegnazione a quote e sfida vera per i Paesi che sono ai margini della disciplina. Passano i nordcoreani, che agitano la curiosità collettiva, e anche gli australiani, i primi a trovare un posto in questa specialità e anche un pezzo di storia. Harley Windsor è un aborigeno, il primo che andrà ai Giochi invernali. Ha preferito i pattini al surf e si è trovato sul ghiaccio da ragazzino per sbaglio. La mamma aveva sbagliato palestra.
Windsor aveva 4 anni quando Cathy Freeman, icona dello sport per i nativi australiani, accendeva il braciere del 2000 e ora potrà sfilare a PyeongChang orgoglioso delle sue origini. Lui, ora che la sua partner russa Ekaterina Alexandrovskaya ha avuto la cittadinanza, ha delle certezze mentre Tae Ok e Ju Sik devono aspettare. Non hanno risposto alle domande sul futuro, protetti dal coreano e dai traduttori ufficiali: «La Corea del Nord sostiene i suoi atleti in ogni modo». In effetti la federazione li ha aiutati nel viaggio in Canada, hanno avuto visti e permessi ma ora si tratta di stare in mezzo al mondo, non proprio il posto che il regime predilige.
Il Sud manda messaggi di tregua, il presidente Moon Jae-In ha chiesto in un discorso pubblico al comitato olimpico della Corea del Nord di «agevolare lo sport». Non sembrano tempi da strategia del ping pong, ma vantarsi di una squadra, sfoggiare bandiere e divise, ha il suo peso. E lo sciatore Ted Ligety spera di avere i nordcoreani come compagni di villaggio: «Sarebbero una sorta di assicurazione».