La Stampa, 30 settembre 2017
Indagati, condannati e parenti stretti. La carica bipartisan degli impresentabili. Alle elezioni siciliane raffica di candidati con guai giudiziari
La faccia ancora imberbe da studente della Luiss, la consapevolezza di «una storia politica da ereditare», la rivendicazione ironica di essere «abbastanza incensurato». È lui, Luigi Genovese, 21 anni, il caso più eclatante tra gli «impresentabili» alle prossime elezioni regionali in Sicilia: politici con precedenti penali che vanno dalla corruzione alla truffa. O i loro figli e nipoti, anche se con la fedina penale candida. Luigi Genovese, per esempio, è il pargolo di Francantonio, ex segretario regionale del Pd, condannato a 11 anni in primo grado per una truffa milionaria sulla formazione professionale, arrestato e da allora accolto nelle liste di Forza Italia. Con gli Azzurri debutta il figlio, che si è presentato in una sala gremita ma con un solo grande assente: Nello Musumeci, candidato presidente del centrodestra, ex di An, ex numero uno della Commissione regionale Antimafia, uno che ha fatto della legalità la battaglia di una vita. Ha dovuto subire la candidatura Genovese, ma ha detto no a quella di Silvio Cuffaro, sindaco di Raffadali e fratello di Totò, il presidente della Regione condannato per favoreggiamento aggravato alla mafia e che – in forza di una dignitosa condotta carceraria – è tornato alla vita civile dettando ancora strategie e alleanze. Così i due fratelli Cuffaro sono andati alla corte di Berlusconi nei giorni scorsi, chiedendo un «risarcimento» alle prossime elezioni nazionali.
Impresentabili a parte, i due principali schieramenti devono prendere acrobaticamente le distanze da eredità scomode, pur tenendole dentro le coalizioni: il centrosinistra dall’impopolarità del governatore uscente Rosario Crocetta, il centrodestra da Cuffaro e dal suo successore Raffaele Lombardo, condannato in appello per voto di scambio con l’aggravante di mafia (presente con il nipote Giuseppe nella lista di Forza Italia a Catania).
È il centrodestra, finora, a essere stato più agitato dalle polemiche su nomi scomodi. Nella lista catanese di Forza Italia c’è Riccardo Pellegrino, consigliere uscente al Comune e – paradossi della vita – finito all’attenzione della Commissione antimafia allora presieduta da Musumeci. Lui ha alle spalle un’indagine archiviata per voto di scambio e un fratello ritenuto dagli inquirenti vicino a un clan e arrestato nel 2014. E poi Roberto Clemente, deputato regionale uscente condannato per corruzione elettorale.
In forse Marianna Caronia, Udc, coinvolta nella recente inchiesta sulla corruzione per gli aliscafi a Trapani. In bilico anche la candidatura di Rino Lo Giudice, figlio dell’assessore regionale Vincenzo che ha scontato una lunga condanna per associazione mafiosa. Forza Italia gli ha detto di no, potrebbe aprirgli le porte il partito di Lombardo. E se Antonello Rizza, sindaco di Priolo, veleggia verso le liste azzurre nonostante 22 capi di imputazione (dall’associazione a delinquere alla tentata estorsione) ma nessuna condanna, qualche grana emerge pure nel centrosinistra, dove ai candidati si chiede certificato penale e lista dei carichi pendenti: nell’armadio di Giovanni Di Giacinto, capogruppo del Psi, è spuntato lo scheletro di un processo per abuso d’ufficio. Alle prese con qualche grana giudiziaria anche Giambattista Coltraro, deputato uscente, notaio, che avrebbe favorito l’acquisizione illecita di terreni per tre milioni di euro. Incerto, ancora, se approdare nell’uno o nell’altro schieramento.