La Stampa, 2 ottobre 2017
Nozze gay. La solitudine dell’Italia
Da oggi anche in Germania si possono celebrare matrimoni omosessuali. Era l’argomento del giorno a Oviedo al congresso della European Association for Family and Succession Law. L’associazione ha un’anima italiana, essendo presieduta da Salvatore Patti, uno degli studiosi italiani più noti nella comunità giuridica europea. La Germania ha approvato il matrimonio omosessuale senza traumi: da tempo infatti gli effetti dell’unione civile omosessuale erano sostanzialmente equiparati a quelli del matrimonio. La discussione sulla nuova legge al Parlamento tedesco è durata pochissimo perché Angela Merkel ha imposto l’approvazione prima delle elezioni.
Perché tanta fretta? Gerhard Hohloch dell’Università di Friburgo ha spiegato che gli omosessuali reclamavano lo status di coniugi, volevano il nome «matrimonio» e lo Stato non aveva alcuna ragione per impedire la realizzazione di questa aspirazione. Guardando la carta geografica europea, dopo l’affannosa rincorsa che ha portato l’Italia l’anno scorso ad approvare la legge sulle unioni civili, siamo di nuovo soli. Il matrimonio omosessuale è ammesso in tutti gli Stati della «vecchia» Europa, in quelli che hanno formato la storia, la cultura, le radici europee.
C’è un cuore comune nell’evoluzione del diritto di famiglia europeo: gli Stati non sembrano più interessati a imporre il modello tradizionale di famiglia con la forza della legge. Si è diffuso un diritto più mite, aperto all’autodeterminazione delle persone. Non a caso il titolo del convegno di Oviedo era «La privatizzazione del diritto di famiglia». Si è parlato di patti prematrimoniali: ormai non sono più un fenomeno folcloristico da film californiano, ma sono diffusi e regolamentati in molti Stati in Europa. Gli sposi (eterosessuali o omosessuali) possono definire con un accordo i loro rapporti economici anche successivi all’eventuale divorzio. Il divorzio non è più l’estrema sciagura di cui è meglio non parlare ma una cosa che può accadere e che è opportuno disciplinare in anticipo per non farsi trovare impreparati.
Viene da chiedersi se difendere con rigidità i modelli culturali e giuridici tradizionali, come sembra voler fare il nostro legislatore, serve a difendere la famiglia? Guardando all’Europa, si ha una sensazione: i giovani europei ancora credono nel matrimonio più di quelli italiani che non trovano più una ragione per sposarsi. Anche se formalmente il nostro matrimonio è fedele al modello antico sembra che i suoi effetti siano quasi svuotati dall’interno; sembra che sia venuta meno l’idea della condivisione su cui la famiglia dovrebbe fondarsi. Un concetto che invece in Europa è ancora molto vivo e presente. Basta pensare al regime patrimoniale della famiglia. Quando spiego ai colleghi europei che ormai più dell’80% dei coniugi italiani scelgono la separazione dei beni mi guardano increduli: che matrimonio è senza condivisione delle sostanze, senza che si formi un patrimonio comune? In Europa la comunione dei beni (o una soluzione equivalente) è il modello quasi sempre seguito e quasi mai derogato. L’Italia è invece ormai lo Stato europeo in cui la parte economicamente più forte può ottenere il divorzio con maggior facilità e minori oneri economici a favore della parte debole. Dobbiamo ormai concludere che il matrimonio italiano è diventato un vincolo più labile di quello europeo.
*Ordinario di Diritto Privato all’Università di Milano