Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2017  settembre 30 Sabato calendario

Robot al lavoro? Sono meglio di noi

«Il punto è uno solo: quanti lavori saranno presi dalle macchine e quando». John Hagel è uno di quegli americani pacifici che si vedrebbero bene sui campi da golf, invece è volato dalla California a Milano per dispensare consigli sul futuro al Singularity Summit. Più di tutti i guru intervenuti all’evento organizzato dall’università della Silicon Valley, Hagel ha affrontato un tema tanto centrale dal suo punto di osservazione di superconsulente delle più avanzate aziende del mondo. 
Creatore di due startup, vicepresidente di Atari, 16 anni in McKinsey e fondatore nel 2007 del centro di ricerca sull’innovazione di Deloitte per scovare le tendenze emergenti non ancora nelle agende degli amministratori delegati, Hagel non evita l’accusa di solito mossa ai giganti della tecnologia: «La paura è che i nostri lavori siano a rischio. Lo dico subito: è giustificata, ma c’è un altro lato della questione, ovvero che si potrebbero usare le tecnologie per ripensare il lavoro e cambiare il sistema». «Ad oggi», spiega, «le grandi aziende si basano su efficienza, specializzazione e standardizzazione. Non suona strano? Quello che abbiamo appena descritto, se ci pensiamo, non è altro che il processo di una macchina. Non solo: oltre il 90 % dei posti di lavoro creati negli Stati Uniti dal 2005 al 2015 sono da liberi professionisti. Non si tratta di costi fissi per le aziende, ma rischiano di essere soppiantati anche loro dalle macchine. Insomma, gli umani per farcela devono focalizzarsi sull’intelligenza critica e sociale. Dunque, l’unico modo è cercare una passione e trovare il modo di viverne. Portare la passione sul lavoro è la migliore via per fare carriera». 
Hagel affronta anche un altro «lato negativo delle tecnologie: creano pressione sulle persone e sul loro lavoro perché spingono a muoversi velocemente. Così se la riduzione dei costi è l’unico ideale, in un mondo esponenziale siamo spacciati. Ma ridefinendo il lavoro sulla creazione di valore allora le persone posso contare ancora». E in queste sue parole si intravede quella vena idealista e rivoluzionaria propria della California tecnologica. «A 6 anni», continua, «tutti abbiamo tanta immaginazione e poi cosa succede? Andiamo a scuola dove impariamo a eseguire ordini e a finire in azienda. Dobbiamo ripensare il sistema educativo. E anche quello aziendale. Una delle ultime trovate è una piattaforma che ogni dipendente può vedere sul suo computer, una specie di videogioco tipo Warcraft, che indica il livello di impegno profuso nell’impiego. Sono certo che la maggior parte dei datori di lavoro lo userà per punire i lavoratori, invece bisognerebbe aiutarli. Per crescere in fretta bisogna costruire un network». Nella transizione verso il futuro per Hagel non vanno sottovalutate le difficoltà, come le innovazioni di processo e di modello di business. Per aiutare le aziende a prendere la via giusta ci sono sempre più clienti consapevoli: «Siamo più potenti e serviti individualmente di prima dunque chiediamo più creatività e immaginazione, cui le aziende dovranno fare ricorso».