la Repubblica, 30 settembre 2017
L’amaca
Uno capisce la propria età anche da certi sintomi culturali – ben prima di quelli fisici. Mi ha spiazzato la quasi unanime celebrazione di Hefner e del suo Playboy come agenti dell’emancipazione sessuale. Non ci avevo mai pensato, anzi ero rimasto alle conigliette come gadget dell’eros più tradizionale, la femmina come accessorio dello sguardo maschile, la vecchia subordinazione appena aggiornata ai tempi: un harem svestito. La Belle époque e il primo Novecento di Jules e Jim, quanto a rivoluzione dei sensi e delle sensibilità, avevano dato alla morale borghese un colpo infinitamente meglio assestato di quello che le docili collaboratrici sessuali di Hefner (non) daranno molti decenni dopo. Parafrasando Guccini, la Jeanne Moreau del film di Truffaut (ambientato nella Francia degli anni Venti) potrebbe ben dire alle conigliette: “tu adesso giri con le tette al vento, io ci giravo già trent’anni fa”.
Di peggio, per ridimensionare il mito, si potrebbe solo aggiungere che le playgirl paiono fatte in serie, come per celebrare anche nell’anatomia femminile il trionfo del taylorismo (non Liz Taylor; Frederick Taylor, l’imprenditore). Ma sono pensieri, mi rendo conto, di un maschio ormai attempato.