Il Sole 24 Ore, 30 settembre 2017
Sponsor di maglia moltiplicati per la Serie A
La forza di un movimento calcistivo si misura, oltre che dai risultati sportivi, dall’attrattività per gli sponsor. I due fattori, in realtà. sono strettamente concatenati. Più successi si raggiungono sul campo più partner commerciali di caratura si ottengono. In un percorso virtuoso che la Serie A da un decennio almeno stenta a innescare.
Nelle ultime stagioni, in effetti, si è palesata sia la difficoltà di incontrare il favore degli sponsor, con squadre anche di prima fascia che non hanno brand a campeggiare sulle divise (il caso più clamoroso resta quello della Roma americana), sia l’assenza di sponsor internazionali. Se si eccettua il lungo accordo Milan-Emirates e le partnership “macro-regionali” della Juventus, le formazioni italiane hanno in corso solo intese con aziende nazionali.
Questo doppio fenomeno ha la sua cartina di tornasole negli introiti complessivi da sponsor e dal network commerciale dell’intera Serie A: tra la stagione 2011/12 e la stagione 2015/16 (come certifica il ReportCalcio 2017 redatto da Figc, Pwc e Arel) questa voce di entrata ha assicurato mediamente 360 milioni all’anno. Nel campionato 2017/18 si dovrebbe attestare intorno ai 420/430 milioni. Un miglioramento che non permette comunque di recupare molto terreno rispetto a quel che accade nelle altre Leghe principali o rispetto ai parametri dei top club europei. Barcellona, Manchester United e Bayern Monaco in effetti vantano introiti commerciali stagionali superiori ai 250 milioni di euro a stagione. Il Real Madrid, campione d’Europa, sta trattando i rinnovi con Adidas ed Emirates che potrebbero valere, rispettivamente, 150 e 70 milioni a stagione.
La Premier League ha ormai incassi da sponsorhip pari a 1,5 miliardi all’anno. La Bundesliga ha ricavi pubblicitari per quasi 800 milioni e oltre 200 milioni dal merchandising. Mentre la Liga spagnola si attesta sui 700 milioni.
L’aumento generalizzato delle sponsorizzazioni ha inoltre portato le case d’abbigliamento sportivo a versare circa 660 milioni nelle casse delle partecipanti alla Champions League, ma di queste solo la Juventus supera la soglia dei dieci milioni tra le italiane.
I campioni d’Italia fino al 2021 indosseranno divise marchiate Adidas. L’accordo in vigore dal 1° luglio 2015 prevedeva un corrispettivo fisso di 23,2 milioni a stagione, cui si aggiungeva inzialmente la gestione da parte di Adidas delle attività di licensing e merchandising per un fisso di sei milioni all’anno (oltre a royalties addizionali al superamento di determinati volumi). Fisso a cui però la Juve ha rinunciato per amministrare in proprio questa attività.
Le altre due squadre italiane che partecipano alla Champions non hanno contratti all’altezza delle grandi d’Europa. Anzi, Napoli e Roma non rientrano nemmeno sul podio della Serie A, avendo accordi meno remunerativi di Milan (con Adidas) e Inter (con Nike). Semmai sono le inseguitrici ad avvicinarsi, pur rimanendo sotto la soglia dei cinque milioni di euro annui: è il caso della Lazio (che con Macron ha siglato un nuovo accordo quinquennale da 20 milioni complessivi) e della Fiorentina, giunta all’ultimo anno di partnership con i francesi di Le Coq Sportif. A “vestire” le squadre della massima serie italiana sono anche gli spagnoli di Joma sponsor tecnico di Atalanta e Sampdoria.
Oltre a Macron e Kappa, invece, altre cinque case d’abbigliamento italiane trovano spazio in A: l’esordiente FG Sports (Benevento), Givova (Chievo), HS Sports (Udinese), Lotto (Genoa) e Zeus (Crotone). Il tutto per undici divise made in Italy, come nella passata stagione.
Per quanto riguarda i main sponsor, nella scorsa stagione, Palermo e Lazio intervennero in corso d’opera per trovare un partner, con i biancocelesti che hanno ritrovato lo storico sponsor Seleco col quale proseguono anche per questa stagione. Senza più i rosanero, retrocessi in Serie B, di società prive di main sponsor rimangono le sole Roma e Sampdoria. Entrambe sono prive anche di sponsor secondari o sul retro della maglia, cosa che per i capitolini non è affatto una novità, mentre sulle divise blucerchiate della passata stagione campeggiava il logo XLV, appartenente alla casa automobilistica coreana SsangYong.
Quelle di Roma e Samp rimangono le uniche due maglie “pulite” dell’intera Serie A, con le altre 18 partecipanti comprendenti invece almeno un main sponsor.
Caso particolare quello della neopromossa Spal, che per le prime tre partite di campionato ha apposto sulle proprie divise il logo InterSpar, ma che per il resto della stagione avrà come sponsor l’azienda del patron Colombarini, Vetroresina Spa. Una situazione comune ad altre società, come i casi ormai noti di Chievo (sponsorizzato da Paluani, il cui azionista di maggioranza è il presidente Campedelli) e Sassuolo (col proprietario Squinzi amministratore unico dello sponsor Mapei).
Si allarga, inoltre, il fenomeno delle sponsorizzazioni sul retro della maglia. Sono otto le società che sfruttano tutti gli spazi a disposizione sulle loro divise per dare visibilità a main, second e retro sponsor, mentre per quest’ultima tipologia di partnership la quota di club della massima serie sale a quindici su venti.
Alcune con marchi legati al main sponsor, come l’Inter con Driver, ma nella maggior parte dei casi con accordi diversi da quelli principali. Tra le ultime a “convertirsi” a questo tipo di sponsorizzazione, solitamente assente sulle divise dei grandi club europei, troviamo la Juventus: nel mese di luglio i bianconeri hanno siglato un accordo con il produttore giapponese di videogiochi Cygames, il cui logo campeggia sul retro delle maglie a partire da questa stagione, ma solamente nelle sfide in campo nazionale. Solo Serie A, Coppa Italia e amichevoli, dunque, senza inserire la sponsorizzazione nelle sfide di Champions League.