Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2017  settembre 29 Venerdì calendario

Il Bayern Monaco licenzia Ancelotti. E ora? Per Carletto le sirene del Milan

Le conseguenze sono state immediate. Nella notte Karl-Heinz Rummenigge aveva preso come sempre il microfono, al banchetto che segue le partite in trasferta di Champions. «Questo non è il vero Bayern, ci saranno delle conseguenze». Alle 15.55 di ieri, l’amministratore delegato ha fatto diffondere il comunicato ufficiale di licenziamento: «Dopo un’analisi interna seguita al 3-0 di Parigi, il Bayern ha sollevato dall’incarico Carlo Ancelotti e il suo staff italiano». Nello specificare la nazionalità, per iscritto, si legge già una delle separazioni in atto da tempo nel delicato rapporto tra le anime dirigenziali e tecniche. Di una fazione tedesca (arricchita dai «quasi tedeschi» Robben e Ribery) che non si trovava con i tecnici stranieri. E di altri stranieri, soprattutto i latini, che invece avevano un buon rapporto con l’allenatore. La mancata costruzione di un legame comune, diversamente da quanto Ancelotti era riuscito a ottenere nelle altre sue avventure, è fra le chiavi del divorzio di ieri. Seguono l’allenatore il figlio Davide (assistente); il preparatore Giovanni Mauri e il suo vice, il figlio Francesco; il nutrizionista Mino Fulco, genero di Ancelotti.

AMICI DIVISI Nel tunnel del Parco dei Principi, prima del match di Champions, Ancelotti e Mauri hanno rivisto alcuni loro ex giocatori: Verratti, Motta e altri. Non soltanto i consueti e veloci saluti, ma abbracci, pizzicotti sulle guance, sorrisi. Carlo sembrava l’allenatore del Psg, non del Bayern. Un tale affetto sincero, come quello con gli ex, non si è mai visto a Monaco, anche quando vinceva. Ancora Rummenigge: «Le prestazioni da inizio stagione non rispecchiavano le nostre aspettative. La partita di Parigi ha mostrato che dovevamo prendere dei provvedimenti. Io e il d.s. Hasan Salihamidzic abbiamo avuto con lui un colloquio franco e serio, gli abbiamo spiegato la nostra decisione. Mi spiace: Carlo è un mio amico e continuerà ad esserlo. Però dovevamo prendere una decisione professionale, per il bene del Bayern». Il francese Willy Sagnol, già campione d’Europa con il club e dall’estate tornato come vice-allenatore, prende in carico la squadra almeno per la partita di domenica con l’Hertha. Poi si vedrà: possibile anche un rientro temporaneo di Heynckes, una coppia Scholl-Gerland, in attesa del predestinato Nagelsmann, ora all’Hoffenheim: ma tra gli allenatori liberi, occhi su Thomas Tuchel, licenziato dal Borussia Dortmund non per scarsi risultati (ha vinto la Coppa di Germania) ma per contrasti caratteriali. Un piccolo Guardiola come manie e imposizioni, senza averne i trofei. Però è giovane e tedesco, come vorrebbe Uli Hoeness.

LA SENTENZA Era da quasi 26 anni che il Bayern non cacciava un allenatore in questo periodo della stagione: Jupp Heynckes venne allontanato l’8 ottobre 1991, ma arrivava da 4 partite senza successi e aveva appena perso 4-1 in casa con i Kickers di Stoccarda: Ancelotti è terzo, ha perso due partite su 10 in stagione. Louis van Gaal, l’ultimo esonero del Bayern, fu ringraziato il 9 aprile 2011. Carlo ha avuto l’ufficialità ieri al ritorno da Parigi, ma già nella notte i suoi consensi erano precipitati. Più che l’uscita di Rummenigge, è stata significativa una frase di Robben: «Stiamo tutti con l’allenatore? A questa domanda non rispondo». Eccola, la sentenza dello spogliatoio.

LA FINE DI UN AMORE Anche un anno fa il Bayern perse la seconda gara del girone di Champions, contro l’Atletico Madrid che alla fine si qualificò con i tedeschi. Il k.o. del 28 settembre 2016 fu il primo dopo 8 vittorie consecutive, in tutte le competizioni: record. La luna di miele fra l’ambiente – dirigenti, giocatori, tifosi – e il nuovo allenatore venuto a normalizzare dopo lo psichedelico periodo di Guardiola era ancora influenzata dal fervore di ogni fresco innamoramento. Carlo rilasciava interviste, non come Pep; dava libertà ai calciatori; svelava molti particolari delle formazioni. Si faceva voler bene. Mercoledì ha tenuto fuori Robben, Ribery, Hummels e Boateng. I due grandi vecchi non gli hanno perdonato qualsiasi panchina, figurarsi in una gara del genere, soprattutto per Ribery, francese castigato al Parco dei Principi. Su Hummels c’è più stupore. Boateng arrivava da un infortunio, era previsto fra le riserve, ma non in tribuna: i motivi sono anche disciplinari. Il Bayern è stato infilzato dopo un minuto e mezzo e poi dopo (3-0), il tecnico era già allo spiedo a gara appena finita.

LIBERATO O SCARICATO? All’interno del club c’è una corrente che pensa che la formazione senza senatori sia stato un atto provocatorio per forzare la situazione. Un’altra malignità è che il tecnico potesse tradire, ascoltando le voci che lo vedevano su panchine future amiche (Milan, Psg) o sconosciute (Cina). Ma le ventilate provocazioni vogliono nascondere altre verità: già dalla primavera scorsa alcuni giocatori salivano ai piani alti della sede, bussavano all’ufficio di Hoeness e raccontavano di allenamenti blandi, di comunicazioni difficili, di sistemi di gioco poco attuali. Rummenigge ha tentato a lungo di difendere un amico a cui era legato anche fuori dal campo, poi ha ceduto: è in atto in società anche una riconquista di prestigio dopo il ritorno di Hoeness come presidente, carica lasciata durante il periodo di carcerazione per frode fiscale. La cricca di Uli si è nutrita dei recenti sfoghi di Müller, Ribery, Lewandowski e anche Hummels. Il preparatore Mauri è stato accusato pure di aver fatto infortunare Neuer, che non si allena con lui. Anche ogni sigaretta in pubblico della coppia è finita sui giornali, come è finito in fumo ogni tentativo dell’allenatore di evidenziare con le esclusioni un ricambio generazionale e fisico evidente: tra leader dello spogliatoio e staff tecnico, la dirigenza ha tutelato i primi. «Si è messo di colpo 5 giocatori contro (Müller, Robben, Ribery, Hummels e Boateng, ndr), non sarebbe sopravvissuto. Il nemico più pericoloso è quello nel tuo letto», ha detto Hoeness. «Era necessario intervenire». E non per difenderlo. Ancelotti lascia la Germania dopo 454 giorni con 3 trofei (due Supercoppe nazionali e una Bundesliga), ma senza la Champions, come Pep; con la festa per le mille panchine e l’ultimo brindisi con i boss, sabato scorso all’Oktoberfest. «Ringrazio club, giocatori e i grandiosi tifosi. È stato un onore far parte della storia del Bayern», ha scritto su Twitter. «Ciao».

Pierfrancesco Archetti

***

La considerazione è semplicissima: da ieri Carlo Ancelotti è sul mercato e inevitabilmente la sua ombra s’allunga (subito) sulle spalle di Vincenzo Montella. Dopo il patatrac di Marassi il mondo-Milan ha metabolizzato a fatica l’andatura altalenante della fuoriserie nata per approdare a tutta velocità in Champions. All’Aeroplanino si chiede un collaudo speciale: decisivi i test con Roma e Inter per allontanare la tempesta. Ora più che mai. Se le sue recenti dichiarazioni dimostrano che ce la metterà tutta per ricompattare squadra e ambiente, è altrettanto vero che i vertici rossoneri hanno approntato un piano di protezione per lui, con il chiaro intento di sottrarsi ai pericoli di una crisi tecnica prematura. Non a caso ieri Mirabelli è stato netto: «Dispiace per Ancelotti perché ha dimostrato di essere uno dei migliori al mondo ma abbiamo un allenatore più giovane e bravissimo. Abbiamo fiducia in Montella».

LA CERNITA I cambi in corsa, infatti, comportano sempre rischi: soprattutto se la successione viene affidata a una guida precaria. E sino all’altro giorno, in effetti, nel lotto dei candidati al post-Montella comparivano nomi con inevitabili pro e contro. Tra Mazzarri, Paulo Sousa, Luis Enrique, Tuchel e Gattuso nessuno appariva in grado di accontentare tutti i gusti. Invece Ancelotti è l’emblema del Milan vincente: ha lasciato Milanello con l’ultimo trionfo in Champions. Sarebbe la soluzione più popolare oltre che tecnicamente rodata. Non a caso a maggio l’a.d. Marco Fassone e il d.t. Massimiliano Mirabelli avevano sondato la sua disponibilità (come quella di Conte) prima di concordare il rinnovo di contratto sino al 2019 con l’attuale mister.

IL PRESSING Poi i contatti con il tecnico di Reggiolo sono stati allentati per ovvii motivi, ma mai abbandonati. Sotto traccia gli intermediari hanno tenuto in caldo il dialogo, preparando il terreno per fine stagione. Così pure sono rimaste in stand-by solo apparente le trame per l’allenatore del Chelsea che proprio mercoledì ha strapazzato l’Atletico a Madrid. Che in prospettiva il Milan corteggi entrambi non è un mistero. Anche perché in sede di rinnovo il Milan e Montella hanno incluso una clausola liberatoria (reciproca) di 1,5 milioni di euro appena. In termini economici, il divorzio avrebbe costi contenuti, ma è chiaro che sono valutazioni premature.

RIFLESSIONI Dal punto di vista contrattuale Ancelotti è a stipendio del Bayern fino a giugno e guadagna 7,5 milioni netti. Secondo quanto convenuto dalle parti a inizio stagione il legame per il 2019 può essere sciolto in maniera unilaterale. Insomma Carletto può decidere di aspettare sino a fine stagione, anche per concedersi un comprensibile periodo di relax, prima di rituffarsi nella mischia. Già due estati fa disse no a Berlusconi e Galliani che provarono a riportarlo in rossonero, preferendo aspettare la chance del Bayern. Sara così anche questa volta? Oppure prenderà in considerazione la romantica idea del ritorno a casa? Nel novembre 2001 accettò di prendere il posto di Terim e dare il «la» ad un’esperienza irripetibile. La domanda è: gli tornerà quella voglia?

Carlo Laudisa