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 2017  settembre 29 Venerdì calendario

Demolito il teorema sul sistema Sesto. Penati e gli altri assolti anche in appello

MILANO Tutti assolti in primo grado e sentenza confermata in appello. Esce esultante dall’aula Filippo Penati, accusato di corruzione e finanziamento illecito ai partiti, per sette anni sindaco di Sesto, poi presidente della Provincia di Milano, quindi capo della segreteria di Pierluigi Bersani quando era segretario del Pd. «Mi sono ripreso la mia vita – afferma Penati – Ormai le assoluzioni non le conto più».
RITORNO IN POLITICA
E con lui festeggiano gli altri imputati, che alla lettura del verdetto rispondono con un applauso: l’architetto Renato Sarno, ritenuto dai pm di Monza il collettore delle tangenti, l’ex segretario generale della Provincia di Milano Antonino Princiotta, l’imprenditore Piero Di Caterina. Nel dicembre 2015 il tribunale ha stabilito la loro innocenza – come quella dell’ex manager del gruppo Gavio Bruno Binasco, dell’ex ad di Milano Serravalle Massimo Di Marco e della società Codelfa – questa volta basta poco più di un’ora alla corte presieduta da Laura Cairati per respingere il ricorso della Procura generale, che ha chiesto per l’ex sindaco la condanna a tre anni di carcere ponendolo al vertice del sistema Sesto. Ovvero quel «luogo di incontro» tra gli interessi di «imprenditori spregiudicati» e le esigenze di finanziamento della politica, in particolare degli eredi del Partito comunista che da sempre amministravano la Stalingrado d’Italia, espugnata alle scorse comunali da Forza Italia. «Se è mai esistito, è stato successivo alle mie amministrazioni: io non ne sono mai stato partecipe», taglia corto Penati. Per lui adesso si potrebbe spianare la strada di un ritorno in politica. «Intanto sono diventato nonno, per il resto non si sa mai», svicola. Il processo lo ha messo all’angolo, ma dopo l’iniziale amarezza ad aprile si è iscritto di nuovo al partito e ha preso la tessera del Pd, effetto di un riavvicinamento avvenuto alle ultime primarie dem in cui ha sostenuto Michele Emiliano. Con la riapertura del dibattimento di appello è arrivato un altro stop. Nelle motivazioni della sentenza di primo grado i giudici rilevano che in realtà nel processo è stata provata «l’esistenza del sistema Sesto», tuttavia manca la prova che Penati abbia «compiuto in cambio di denaro o altra utilità atti contrari ai doveri d’ufficio». E la Procura di Monza, nella sua «ricerca della tangente», ha portato avanti una tesi «in contrasto con il principio della presunzione d’innocenza». Non solo. Il tribunale evidenzia che né Di Caterina né Pasini, ritenuti i «grandi accusatori» dell’ex sindaco, «hanno riferito in dibattimento di avere versato a Penati tangenti». Non si può anzi «escludere che le dichiarazioni» di Di Caterina «siano state condizionate da acrimonia o spirito di rivalsa verso Penati» e «stupisce» come l’imprenditore «non ricordi quanti soldi avrebbe prestato a Penati nel corso degli anni». In dibattimento ha parlato di «3,5 milioni di euro», nelle indagini «di 2,5 milioni». Insomma, nei rapporti tra Penati e Di Caterina si potrebbero ravvisare profili di «vischiosità» e di «inopportunità», ma ciò «attiene alla sfera dell’etica e non del penalmente rilevante». E tutte le «indagini patrimoniali su Penati e sui suoi familiari alla ricerca di fondi illeciti detenuti per sé o per il Partito comunista prima e Democratici di sinistra poi» hanno dato «esito negativo».