29 settembre 2017
In morte di Hugh Hefner
Emanuele Trevi per il Corriere della SeraCome hanno ripetuto le agenzie di tutto il mondo, Hugh Hefner è morto «per cause naturali». Ci sono uomini così eccezionali da riscattare anche i modi di dire più vaghi e insignificanti. Perché quelle «cause naturali» al grande Hef si addicono perfettamente. Nel caso di Hefner, insomma, le «cause naturali» suonano quasi come una specie di sublime malattia professionale. Come gli antichi, Hefner non si vergognava delle forme e delle molteplici circostanze del suo desiderio. Vendeva agli altri esattamente quello che voleva per se stesso. Certamente era un grande persuasore, ma della razza più rara: quella di chi, prima di chiunque altro, è in grado di persuadere se stesso. Vale a dire di conoscersi: che è sempre l’impresa umana più impervia ed aleatoria.
Questo è stato il segreto del suo successo; ancora di più, è stato il segreto dell’imprevedibile durata di quel successo. Col fiuto, o magari grazie a un colpo di fortuna, può capitare a chiunque di intercettare una corrente di desiderio, un’aspirazione, un umore che in un dato momento attraversano la società, e fornirle il prodotto giusto. Ma «Playboy» è stata decisamente un’altra cosa. È lì dal 1953. Anche mettendo in conto un tranquillo e fisiologico declino, condiviso peraltro da tutta la carta stampata, le date sono più eloquenti di un’intera biblioteca di trattati sociologici e psicologici. Per più di mezzo secolo, «Playboy» è rimasto intramontabile perché attingeva alla fonte più credibile, più autentica: Hugh Hefner in persona. Circondato dalle sue conigliette, marito, amante, amico fidato di conigliette, mirabile coniglio in vestaglia di seta nella sua gabbia di ventimila metri quadri in stile gotico-tudor. Il resto è venuto di conseguenza: il talento editoriale, la modella dell’anno, le interviste a Marlon Brando e Fidel Castro, i grandi scrittori che a un certo punto preferirono «Playboy» al «New Yorker».
Tutti i grandi artisti pop americani dello scorso secolo in fondo sono accomunati dalla stessa intuizione: il prodotto da offrire al pubblico è qualcosa di intimo, la parte più preziosa di se stessi, il frutto di un atto di introspezione ben riuscito. Stephen King per esempio è molto simile a Hefner: scrive ispirandosi a i libri e ai film che divorava da ragazzino. La sua forza di persuasione scaturisce da quell’antico desiderio di avere paura, di affrontare un mistero.
Cresciuto in ambiente del tutto tradizionale del Midwest, in una famiglia metodista della media borghesia, Hefner è stato il portatore sano di un’immaginazione sessuale caratterizzata da un’assoluta normalità, da un senso perfetto di felicità e appagamento. Una specie di paganesimo ormonale e adolescenziale in cui l’unico principio metafisico (la bellezza femminile) si manifesta in una pluralità potenzialmente infinita di incarnazioni. È il sogno erotico più universale che si possa concepire: un paradiso terrestre risparmiato dalla colpa, che è il più mostruoso di tutti i serpenti. Non corrisponde esattamente al libertinaggio nel senso di Don Giovanni o Casanova, perché l’inesauribile varietà degli oggetti del desiderio non implica necessariamente la loro sostituibilità. La magia tipografica della pagina centrale crea un momento di contemplazione che è fuori del tempo: in quel momento, quella che vediamo è la donna più bella del mondo, ma quel momento è eterno.
Tra le tante notizie che si trovano su internet, una soprattutto mi sembra degna di memoria. C’è una specie di coniglio selvatico il cui nome scientifico è un omaggio al logo di «Playboy» e al suo inventore: sylvivagus palustris hefneri. Con una generosa donazione, Hefner protesse questo animaletto a rischio di estinzione. Così facendo, restituì alla natura il simbolo che le aveva preso in prestito. Mi sembra un degno compimento filosofico di una vita ben vissuta.
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Anna Guaita per il Messaggero
NEW YORK Correva l’anno 1953. Nella cucina della sua casa di Chicago, un giovane correttore di bozze arrabbiato perché la rivista per cui lavorava non aveva voluto alzargli lo stipendio, cercava nuove strade per guadagnarsi da vivere. Con l’aiuto della madre, che gli aveva prestato mille dollari, quel 27enne che presto avrebbe rivoluzionato il mondo, decise di pubblicare una rivista per uomini. Forse la madre, puritana e benpensante anche più del padre, non gli avrebbe dato quei fondi se avesse saputo che sarebbero serviti per produrre Playboy. Ma lo stesso giovane, Hugh Marston Hefner, aveva poca fiducia che il suo prodotto avrebbe avuto fortuna: difatti la rivista non portava neanche il numero, nella quasi certezza che non ce sarebbe stata una seconda copia. Comincia così la rutilante avventura editoriale di Hefner, che contribuirà alla liberazione sessuale di intere generazioni, ma anche alla nascita del femminismo.
LA VILLA DELL’EDONISMO
Il padre del sesso libero si è spento ieri, a 91 anni, nella sua famosa Playboy Mansion di Los Angeles, la villa dell’edonismo, dove viveva con la sua terza moglie, Crystal Harris. Hefner si è spento per cause naturali. Lascia quattro figli, di cui la maggiore, Christie, ha in mano le redini di quel che ancora sopravvive dell’impero che nacque in quel dicembre, nella gelida Chicago, con un numero che in copertina portava la stella nascente dell’epoca, Marilyn Monroe. Oggi quel numero vale più di 65 mila dollari, ma è difficile trovarne: le 53 mila copie andarono esaurite subito, tanto che Hefner poté puntualmente pubblicare il numero di gennaio e via di seguito. Solo sette anni più tardi, Hefner comincia ad aprire i suoi club, e presto ne avrà una cinquantina in tutto il mondo. È al massimo della fama. La sua rivista è zeppa di articoli e interviste di rilievo mondiale firmati dai più noti autori del momento. Alcune delle conigliette sono famose e amate ovunque: attrici, atlete, artiste. È adesso che Hefner comincia a scrivere saggi in cui sentenzia che la «rivoluzione sessuale porta all’emancipazione». Ma una giovane futura leader del movimento femminista, Gloria Steinem, va a lavorare in uno dei suo club, per poi pubblicare un libro verità in cui rivela come invece le ragazze siano trattate come oggetti, ai confini della prostituzione. Da quel momento, Hefner dovrà vedersela con una contestazione montante e nel 1988 cederà la guida dell’impero alla figlia, anche in un tentativo di scrollarsi di dosso le accuse di paternalismo sessista. Ma per allora anche la sua immagine sofisticata avrà ceduto alla versione in poliestere. Chiuso nella sua villa, circondato da conigliette (tutte con garanzia di perfetta salute e immuni da droghe), vive in tute di seta e poliestere, sborsando cifre gigantesche per svariate iniziative di beneficenza, fra cui la lotta all’aids.
LA NUOVA AMERICA
Uomo con un quoziente di intelligenza di gran lunga superiore alla media, cresciuto nel più stretto moralismo, Hefner morirà un po’ come Elvis, ridotto quasi a una caricatura di se stesso. Ma in quel lontano 1953 aveva avvertito che nell’aria si cominciava a respirare il desiderio di un cambiamento. Gli Usa del dopoguerra erano come i suoi genitori: conformisti, moralisti, omogenizzati da una tv noiosa e puritana. Ma dalle retrovie cominciavano a farsi sentire nuove pulsioni: Elvis Presly esordiva sui palcoscenici con il suo rock dirompente, Jack Kerouac e i suoi amici aprivano la strada della beat generation, ne Il selvaggio un Marlon Brando fascinoso e tenebroso sfondava lo schermo con il suo giubbotto di pelle nera. Oggi, dopo l’esperienza del femminismo e la lotta per l’eguaglianza dei sessi, ci sono femministe che vedono in Hefner il fondatore dell’industria del porno, uno dei più assatanati sfruttatori delle donne che la storia moderna abbia prodotto. Ma non mancano coloro che hanno fatto pace con lui. La scrittrice Kathy Lette conferma: «Hefner insegnò agli uomini a fare l’amore. A trattare il corpo delle donne con amore. E noi donne non siamo contro questo».