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 2017  settembre 29 Venerdì calendario

La morte di Hugh Hefner, l’inventore di Playboy

 «Trentanove anni! Un recluso! Autentico! Non esce, non vede la luce del giorno, non s’espone all’aria di Dio e non-condizionata di Chicago per mesi e mesi, per anni. In questo esatto momento, è lecito supporre, se ne sta rinchiuso in una di quelle quarantotto stanze, sotto strati e strati di moquette bianca oppure cremisi, imbacuccato, rimboccato, infasciato, avvoltolato, stipato, smozzato, cancellato da tende, drappeggi, moquette, legno chiaro, schermi, velluti, porte, campanelli, quadranti, nubiani: se ne sta lì, sessantasette chili scarsi, come il verde e tenerissimo cuore d’un carciofo. Gira in senso antiorario insieme col letto. Il letto è rotondo e ha sotto un motore, come un giradischi. La testa… be’, fluttua sulla sinistra. Lì, nella camera da letto, c’è la sua telecamera, vicinissima, non un comune televisore, una telecamera, che registra dio sa che cosa in ampex...»  

Ma chi è?
Hugh Hefner, l’editore-direttore di Palyboy. Sa, la famosa rivista con le donne nude e le interviste lunghissime a gente come Fidel Castro. È morto ieri, a 91 anni, per cause naturali, nella sua celebre villa di Beverly Hills. Il brano messo all’inizio è dello scrittore-giornalista Tom Wolfe, l’esile radical-chic americano vestito sempre di bianco. Descrive Hefner nel 1965, quando il nostro uomo già notissimo per le conigliette e il resto, non era neanche all’apice del successo, che deve essere collocato nel 1972, quando Playboy vendette in edicola più di sette milioni di copie. Hefner diceva che faceva profitti solo con la vendita delle copie in edicola (nel sistema americano, secondo lui, l’abbonamento non conveniva). La pubblicità (otto milioni di dollari, sempre in quel 1965) era un di più. Tom Wolfe gli attribuisce un reddito personale di 48 milioni di dollari l’anno. Sono numeri che forse non fanno più impressione, ma l’uomo era ricco sfondato.  

Un grand’uomo? O una specie di macrò di altra specie? Siamo immorali se ne celebriamo la scomparsa come se fosse un eroe?
Chi sa. Il primo numero di Playboy è del novembre-dicembre 1953. La data non è sicurissima perché Hefner, sicuro che un secondo numero non sarebbe mai uscito, non la fece stampare in copertina. I soldi per la tipografia e per l’acquisto degli articoli e delle foto glieli prestarono gli amici, forse un poco anche la madre. Raggiunto un capitale di ottomila dollari, avendocene messi, di suo, appena seicento, tentò l’avventura. Vendette cinquantamila copie a cinquanta centesimi e potè affrontare una seconda uscita, e quindi una terza e così via. Su quel primo numero c’era in copertina l’ancora poco conosciuta Marilyn Monroe, su sfondo bianco. E dentro, nel paginone centrale, la celebre foto di Marilyn nuda sul lenzuolo rosso, quella che le aveva scattato per una ditta di calendari Tom Kelley e che Hefner aveva pagato cinquanta dollari. Naturalmente il gran successo della rivista era dovuto all’epoca puritana, dove il nudo femminile era ancora una rarità. Playboy ha poi rinunciato al nudo, dato che gli appassionati trovano donne nude - e non  solo - gratis su internet.  

Questo letto rotondo di cui parla Hefner nella sua descrizione...
Hefner viveva in questa villa su tre piani al 1340 di North State Parway di Beverly Hills, da cui non usciva praticamente mai, e che aveva trasformato in un set. Casa e ufficio coincidevano, e spesso coincidevano nella camera da letto con moquette bianca e letto rotondo e rotante, al terzo piano teneva un corpo di conigliette contrattualizzate (800 dollari a settimana nei tempi d’oro) che erano obbligate a girare per casa seminude e a seguire regole di comportamento rigidissime, relativamente alle feste, ai bagni in piscina e ai rapporti con i servitori nubiani. Hefner ha coniugato libertinaggio e rigore in un miscuglio strano. Wolfe dice che si occupava sempre di filososia (era laureato in Psicologia) ed è vero: il concept di Playboy - cioè le linee guida che stanno dietro alla rivista e stabiliscono come deve essere fatta e perché - era un volumone di centinaia di pagine, costantemente aggiornato. Hefner lo sintetizzava così: «Faccio un giornale per uomini di 20-40 anni interessati all’arte, alla cucina, alla letteratura, alla politica. È assurdo pensare che questi uomini non abbiano interesse per le ragazze».  

Le femministe?
Gloria Steinem, che aveva fatto la coniglietta per qualche settimana nella casa di Hefner, ne uscì indignata e fece contro Playboy una campagna molto dura. Pure, anche le femministe percepivano che in quella rivista e in quell’uomo c’era qualcosa di più del semplice sfruttamento del corpo nudo di donna. Certi critici si sono a un certo punto tormentati intorno al quesito se per caso Playboy non abbia un suo posto nella storia dell’arte contemporanea, le foto di nudo non sono semplici foto di nudo, Hefner aveva anche studiato Disegno all’Art Institute di Chicago, aveva un collezione d’arte importante, e Carrie Pitzulo, studiando il fenomeno, notò, per esempio, che il paginone centrale del novembre 1980 era chiaramente ispirato alla Venere allo specchio
di Velázquez, la playmate del settembre 1955 guardando il lettore appendeva una natura morta di Picasso con l’aria di non sapere come metterla dritta, nel numero dell’agosto 1972 Linda Summers stava sdraiata in spiaggia tenendo aperto il paginone della rivista Cosmopolitan che ritraeva Burt Reynolds nudo nella stessa sua posa. Eccetera eccetera. Studiando Playboy Jeanne Bovet e Michael Raymond, dell’università di Montpellier, scoprirono che in tempi di crisi gli uomini preferiscono le donne in carne e in tempi di benessere quelle ossute. I due estremi: Mickey Winters, ragazza Playboy del settembre 1962, con un rapporto vita/fianchi di 0,529; e Ashley Hobbs, ragazza Playboy del dicembre 2010 con un indice di 0,844.  

Resta da dire qualcosa della biografia.
Non c’è molto da dire, dato che non usciva mai di casa. Tre mogli, quattro figli e si dice che una volta abbia tenuto come amanti sette ragazze contemporaneamente. Si sa anche di una notte di sesso con Elvis Presley in cui le ragazze erano otto. L’anno scorso ha venduto la nuda proprietà della villa di Beverly Hills (1.858 metri quadri coperti) al re delle merendine Daren Metropoulos per un centinaio di milioni di dollari. Sua frase preferita: «Sono stato sia ricco che povero. È di gran lunga meglio essere ricco».